Avvocato Brescia | Omicidio di identità
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ragazza che si copre il volto

Omicidio di identità

I drammatici casi giudiziari di Lucia Annibali o Gessica Notaro, piuttosto che di Pietro Bambini e Carla Caiazzo, sono accomunati da un elemento sottostante: essere stati vittima di una violenza fisica che ha determinato lo sfregio del volto e del corpo, mediante agenti corrosivi.

Ciò che le vittime di tali condotte hanno dovuto subire è, purtroppo, ben noto: una serie di interventi chirurgici di lunga durata e ampia complessità, oltre che la necessità di affrontare problemi psicologici non certo marginali, uniti alla difficoltà di sostenere socio-economicamente le proprie sofferenze.

Il fenomeno ha colpito in maniera prevalente (ancorché non esclusiva) le donne e, proprio al fine di fornire un quadro normativo più coerente dinanzi a questo drammatico scenario, ha avuto come riscontro una modifica del codice penale con cui è stata introdotto l’omicidio di identità, che punisce con la reclusione non inferiore a 12 anni colui che si macchia di tale reato, proponendo così ai giudici la disponibilità di una serie di strumenti adatti a comminare pene adeguate per delitti così efferati e, peraltro, proponendo un intervento normativo di particolare interesse e innovazione anche nel più ampio ambito europeo.

In questo senso, l’omicidio di identità sembra far leva sul fatto che la vittima, avendo subito un danno irreversibile al volto, possa andare incontro a quella che è una vera e propria morte civile, volontariamente determinata dall’aggressore.

Di qui, l’intuizione che per reprimere una condotta così fortemente lesiva, non sarebbero più sufficiente gli strumenti giuridici previsti per le lesioni gravi o gravissime, ma fossero necessari invece dei nuovi strumenti che possano tenere conto sia dell’impatto sull’identità fisica della vittima, quanto anche di quella sociale e psicologica.

Lo strumento di cui si parla è, evidentemente, il nuovo art. 583-quinquies del codice penale.

Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso

L’art. 583-quinquies del codice penale, rubricato Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, è lo strumento che il legislatore ha predisposto per disciplinare in maniera specifica le ipotesi di delitto di cui sopra.

Il tenore della norma prevede che:

Chiunque cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso è punito con la reclusione da otto a quattordici anni.

La condanna ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del Codice di procedura penale per il reato di cui al presente articolo comporta l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno.

Ma quali sono gli elementi oggettivi e soggettivi del delitto? E quali i rapporti con altri reati?

Elemento oggettivo

L’elemento oggettivo dell’omicidio di identità è legato alla presenza della lesione che determina una deformazione o uno sfregio permanente del viso.

È opinione prevalente giurisprudenziale e dottrinale, che la deformazione sia definibile come un’alterazione della simmetria del viso, produttiva di sfiguramento, come ad esempio le cicatrici o gli stiramenti della pelle, la mutilazione delle narici o l’enucleazione di un occhio.

Il concetto di sfregio si riferisce invece all’alterazione che – pur senza determinare la deformazione – turba la regolarità e l’armonia dei lineamenti del viso: si pensi a cicatrici che, per quanto piccole, siano comunque appariscenti e alteranti, la perdita di parte del padiglione auricolare, la rottura del setto nasale, e così via.

Ai fini della norma, la presenza della congiunzione “o” determina un’identica portata delle due fattispecie, con la conseguenza che entrambe devono essere interpretate in termini disgiuntivi.

Elemento soggettivo

Trattandosi di una fattispecie autonoma, il reato di omicidio di identità può essere ascritto all’agente secondo l’uso dei normali criteri di ascrizione della responsabilità penale, per la cui imputazione è dunque sufficiente il dolo, salva espressa previsione di colpa

Dunque, considerato che si tratta di figura dolosa, l’azione deve essere assistita necessariamente dalla volontà e della consapevolezza di realizzare la fattispecie oggettiva del reato.

Circostanze aggravanti

Aver trasformato la precedente circostanza aggravante in un delitto a sé stante ha permesso di dare una dignità autonoma al concetto di omicidio di identità, evitando peraltro che il giudice possa applicare un bilanciamento tra fattori aggravanti e attenuanti.

Resta inteso che al reato di omicidio di identità risultano applicabili le circostanze aggravanti di cui al codice penale, nei limiti di determinazione della pena ex art. 66 co. 1 della stessa legge, e cioè i trenta anni di reclusione.

Rapporto con altri reati

Numerosi sono i rapporti del recente delitto di omicidio di identità con gli altri reati. Come già rammentato, infatti, fino a non troppo tempo fa le fattispecie che oggi ricadono nell’omicidio di identità costituivano delle circostanze aggravanti di altri reati, a rafforzamento dell’odierno tentativo di tracciare un ponte di collegamento tra vari delitti.

Per esempio, è palese il collegamento con l’art. 582 c.p., rubricato Lesione personale, secondo cui chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Il reato può configurarsi anche nelle forme di cui all’art. 56 c.p. – Delitto tentato – per cui chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica. Il colpevole del delitto tentato è punito: con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l’ergastolo; e, negli altri casi, con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi.