Avvocato Brescia | L’estinzione del reato mediante riparazione del danno
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L’estinzione del reato mediante riparazione del danno

L’estinzione del reato mediante riparazione del danno

L’art. 162 ter del codice penale, rubricato Estinzione del reato per condotte riparatorie, afferma che nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato – sentite le parti e la persona offesa – quando l’imputato ha riparato interamente il danno cagionato dal reato, con restituzioni o risarcimento, eliminando ove possibile le conseguenze dannose o pericolose dello stesso.

L’estinzione del reato per condotte riparatorie è inserita nel nostro ordinamento tra gli istituti riconducibili alla giustizia riparativa, con la quale si desidera offrire al reo e alla vittima, nel processo penale, la possibilità di giungere a una soluzione condivisa del fatto, basata sulla volontaria assunzione di responsabilità del reso e sul consenso della persona offesa.

La collocazione dell’art. 162 ter c.p. subito dopo le norme dedicate all’oblazione, peraltro, ne evidenzia il comune effetto estintivo che consegue a una condotta riparatoria. Mentre tuttavia l’oblazione si applica a fattispecie in cui è predominante l’interesse pubblico, con lo Stato che rinuncia alla pretesa punitiva perché ritiene preferibile privilegiare la deflazione dei procedimenti rispetto alla punizione del colpevole, nel caso dell’art. 162 ter è lo Stato a imporre al soggetto passivo, che ha esercitato il diritto di querela, la possibilità di “accontentarsi” di una condotta riparatoria per il prevalere dell’interesse alla rapida definizione del processo.

Proviamo a condividere insieme le principali caratteristiche dell’ipotesi introdotta nella norma.

L’art. 162 ter c.p. – Estinzione del reato per condotte riparatorie

Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato. Il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo.

Quando dimostra di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine di cui al primo comma, l’imputato può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento; in tal caso il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni. Durante la sospensione del processo, il corso della prescrizione resta sospeso. Si applica l’articolo 240, secondo comma.

Il giudice dichiara l’estinzione del reato, di cui al primo comma, all’esito positivo delle condotte riparatorie.

Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi di cui all’articolo 612-bis.

La riparazione del danno

Come anticipato nelle scorse righe, l’art. 162 ter dispone l’estinzione del reato se l’imputato ha riparato interamente il danno cagionato dal reato mediante restituzioni o risarcimento, eliminando ove possibile le conseguenze dannose o pericolose del reato.

Il risarcimento può essere considerato come effettuato anche in relazione ad un’offerta reale ex art. 1208 ss c.c., formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, se il giudice riconosce la congruità della somma offerta a tale titolo.

L’integralità della riparazione

La previsione inclusa nella norma apre alcuni margini di incertezza sulla definizione di integralità della riparazione, non chiarendo ad esempio quali siano le condotte che possono riparare e risarcire e se queste siano alternative o cumulative. Si può comunque ritenere che se la restituzione è possibile, ad essa si debba aggiungere il risarcimento del danno non patrimoniale che consegue al pregiudizio sofferto per il reato subito.

Nel caso invece in cui la restituzione non sia possibile, allora il risarcimento dovrà coprire anche il danno patrimoniale che consegue alla perdita del bene.

È evidente come i margini di discrezionalità in capo al giudice, dinanzi a una normativa così vaga, non possano che essere piuttosto ampi.

La condotta spontanea

La norma fa invece un chiaro riferimento alla condotta spontanea e non indotta da provvedimenti giurisdizionali. In altri termini, il risarcimento e le riparazioni devono essere effettuate prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.

Nel caso in cui l’imputato dimostri però di non avere potuto adempiere per un fatto a lui non addebitabile, entro il termine della dichiarazione di apertura del dibattimento in primo grado, allora può domandare al giudice di fissare un termine ulteriore, non superiore a sei mesi, per procedere al pagamento anche in forma rateale di quanto dovuto a titolo di risarcimento.

Se il giudice accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e, comunque, non oltre i 90 giorni dalla predetta scadenza.

Il termine entro cui è possibile ricorrere alla condotta riparativa

La norma in questione si limita ad affermare che il termine perentorio e finale per poter usufruire del ricorso alla condotta riparativa è quello della dichiarazione di apertura del dibattimento. Nulla viene invece disposto in ordine all’estinguibilità del reato nella fase delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare. Per buona parte della dottrina, peraltro, l’ammissibilità pare ipotizzabile per l’assenza di un termine iniziale.

Niente viene disposto altresì in merito all’ammissibilità di una richiesta di estinzione del reato per condotte riparatorie in sede di opposizione al decreto penale di condanna.

L’audizione delle parti

In presenza delle condizioni oggettive per dichiarare estinto il reato, prima della sua pronuncia il giudice è tenuto a sentire le parti e la persona offesa.

Alla persona offesa non è riconosciuto alcun potere di veto sull’estinzione del reato, dovendo il giudice esclusivamente accertare che l’imputato abbia effettivamente provveduto alla restituzione e/o al risarcimento.

Il Pubblico Ministero e l’imputato, invece, quali parti necessarie del procedimento, devono essere d’accordo con la pronuncia del giudice: Il proscioglimento predibattimentale per intervenuta estinzione del reato per condotte riparatorie, infatti, può essere pronunciato solo in caso di mancata opposizione di P.M. ed imputato.

Appellabilità della sentenza di proscioglimento per intervenuto 162ter c.p.

Il Pubblico Ministero, qualora sia stata emessa sentenza di proscioglimento predibattimentale per intervenuta estinzione del reato nonostante la sua opposizione, ha titolo per impugnare la sentenza eccependo la nullità della stessa per violazione degli artt. 162ter c.p. e 469 c.p.p. [Cass. pen. Sez. II Sent. 02/11/2021 n. 39252).

“Non sussiste invece l’interesse per la parte civile ad impugnare, anche solo ai fini civili, la sentenza emessa a seguito di condotte riparatorie, in quanto tale pronuncia, limitandosi ad accertare la congruità del risarcimento offerto ai soli fini dell’estinzione del reato, non riveste autorità di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni o per il risarcimento del danno e non produce, pertanto, alcun effetto pregiudizievole nei confronti della parte civile” (S.U. n. 33864 del 23.04.2015). L’eventuale ricorso in appello così proposto dalla parte civile è, pertanto, inammissibile per difetto dell’interesse ad impugnare.