La prova nel processo penale: i principi fondamentali
Il processo penale ha la funzione di accertare se un determinato fatto costituente reato sia stato commesso e se l’imputato a cui è attribuito l’abbia effettivamente compiuto. Per accertare la fondatezza della pretesa punitiva, la prova nel processo penale costituisce l’elemento su cui deve basarsi il convincimento del giudice. Il giudice terzo e imparziale dovrà valutare le prove acquisite nel contraddittorio tra le parti e darne atto nella motivazione del provvedimento giurisdizionale.
In questo contesto, le prove sono le circostanze che dimostrano un fatto, un elemento utile ad una delle parti per appurare la fondatezza delle sue affermazioni (innocenza dell’imputato per la difesa o colpevolezza per il p.m.).
C’è da distinguere le fonti di prova dai mezzi di prova.
Le fonti di prova sono costituite dalle cose, documenti o persone da cui può scaturire la prova dinanzi al giudice. I mezzi di prova sono quegli strumenti attraverso cui la prova viene prodotta dalle fonti di prova.
Va fatta un’ulteriore distinzione tra prova generica (che dimostra la sussistenza del fatto/reato) e prova specifica (che permette di attribuire il fatto ad un certo autore).
In questo articolo, analizziamo la prova nel processo penale in generale esaminando gli artt. 187-271 del CPP, norme che costituiscono una sorta di mini-Costituzione in materia di prove.
La prova nel processo penale: analisi delle norme del CPP
Passiamo subito ad analizzare le disposizioni generali valevoli per tutti i tipi di prove.
La disciplina delle prove in generale è contenuta nel libro III del Codice di Procedura Penale (artt. 187-271).
Le modalità di assunzione delle prove, invece, sono disciplinate nel libro VII (dibattimento) negli artt. 496-522 dedicati all’istruzione dibattimentale.
Concentriamoci sull’analisi delle norme generali.
Art. 187 CPP: oggetto della prova
L’art. 187 del Codice di Procedura Penale disciplina l’oggetto della prova. La prova deve essere attinente ai fatti relativi all’imputazione contestata, alla responsabilità civile derivante dal reato, alla punibilità, determinazione della pena, applicazione delle misure di sicurezza e di norme processuali. Al giudice spetterà il compito di non accogliere prove richieste dalle parti che esulano dall’oggetto, dal fatto/reato da valutare (art. 495 c.p.p.).
Alcuni esempi di oggetto della prova attinente sono: perizia di accertamento della capacità o meno di intendere o di volere dell’imputato (per la punibilità), testimonianza per appurare la detenzione di un’arma dell’imputato o la sua presenza sul luogo del delitto (per l’imputazione).
L’art. 187 enuncia il principio di pertinenza e rilevanza allo scopo di stabilire i confini oggettivi dell’esercizio del diritto alla prova. Il legislatore ha voluto scongiurare gli abusi verificatisi in passato, quando il giudice istruttore aveva l’obbligo, in base al vecchio codice di procedura, di compiere ogni atto che apparisse necessario per accertare la verità.
Art. 188 CPP: principio di libertà morale della persona
Il principio di libertà morale della persona nell’assunzione della prova è sancito dall’art. 188.
Di conseguenza, non possono essere utilizzati metodi o tecniche in grado di influire sulla libertà di autodeterminazione di un soggetto (ipnosi, siero della verità, ecc.). Non è possibile influire sulla libertà di autodeterminazione né alterare la capacità di ricordare/valutare i fatti neanche con il consenso della persona interessata.
In particolare, non è consentita la possibilità di arrestare il teste in udienza per falsa testimonianza (art. 476, c. 2). La pressione psicologica derivante dalla minaccia di arresto potrebbe incidere negativamente sull’autenticità della deposizione.
Questo articolo ha un valore storico ed etico: sancisce il principio di autodeterminazione della persona, tutela la dignità umana da qualsiasi strumentalizzazione per raggiungere determinati scopi nel processo. Si applica anche all’attività del p.m e della p.g.
Non si possono assumere elementi conoscitivi lesivi della morale.
Art. 189 CPP: principio di non tassatività dei mezzi di prova
L’art. 189 CPP stabilisce il principio di non tassatività dei mezzi di prova nel pieno rispetto del modello accusatorio in cui le parti gestiscono il sistema probatorio.
In base a questo principio, risultano ammissibili anche mezzi di prova non disciplinati dalla legge come una registrazione audio contenente richieste estorsive se sono idonei a garantire l’accertamento dei fatti e non pregiudicano la libertà morale della persona,
Nel nostro ordinamento, in materia di prove, non esiste il principio di tassatività. L’ordinamento italiano ammette anche prove atipiche purché ricorrano sempre due condizioni: devono essere idonee a garantire l’accertamento senza pregiudicare la libertà morale di un individuo.
Artt. 190 e 190 bis CPP: diritto alla prova
Il diritto alla prova nel processo penale viene fissato dall’art. 190 del Codice di Procedura Penale. Conferma la facoltà delle parti di richiedere l’ammissione delle prove nel processo, ad eccezione delle ipotesi di ammissione d’ufficio (art. 192, c. 2). Se tale diritto viene violato si può fare ricorso in Cassazione (ex art. 606, c. 1, lett. d).
In casi particolari, l’art. 190bis c.p.p. impone limiti all’ammissibilità di esaminare testimoni o soggetti indicati nell’art. 210. Succede solitamente nei processi di criminalità organizzata, prostituzione e pornografia minorile e violenza sessuale. Questa norma impone limiti all’ammissibilità dell’esame di testimoni che, in precedenza, hanno già reso dichiarazioni nel contraddittorio tra le parti. In tal caso, è consentita la mera lettura delle loro dichiarazioni, non l’esame. Lo scopo è prevenire l’usura delle fonti di prova, particolarmente pressante considerando i particolari procedimenti in questione. Ciò non lede il diritto alla difesa perché si tratta di dichiarazioni rese da un soggetto già esaminato e controesaminato.
Nelle indagini preliminari, la difesa può esercitare il diritto alla prova tramite investigazioni difensive. Secondo il cosiddetto ‘principio dispositivo‘, spetta al P.M. indicare i mezzi di prova più adatti per sostenere l’accusa ed all’imputato chiedere di assumere prove finalizzate a contrastare l’accusa (artt. 190 e 468).
Generalmente, al magistrato compete di valutare l’ammissibilità e rilevanza delle prove, di procedere all’assunzione delle prove ammesse e di esaminare la forza probatoria di innocenza o colpevolezza (art. 192).
In casi eccezionali, il giudice può prendere l’iniziativa di indicare per necessità l’assunzione di mezzi di prova, in udienza preliminare, in dibattimento e nel giudizio abbreviato.
La prova, una volta ammessa, non può essere revocata se non nel contraddittorio delle parti in quanto risulta essere a disposizione di tutte le parti.
Art. 191 CPP: prova illegittimamente acquisita non utilizzabile
La prova acquisita in modo illegittimo (in violazione dei divieti di legge ai sensi degli artt. 62, 195 co. 4 e 7, 203 e 271) non è utilizzabile nel processo penale. Questa regola di inutilizzabilità di prove illegittimamente acquisite (rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado di procedimento, anche in fase di indagini preliminari) è sancita dall’art. 191 CPP.
Per prova acquisita inutilizzabile, la legge intende non solo quella processuale ma anche quella sostanziale, penale/costituzionale.
Esistono due diversi tipi di inutilizzabilità:
– fisiologica, quando l’atto non è viziato, non è acquisito violando norme di legge, bensì è regolato dal nostro codice in modo tale che in una fase processuale si può usare e in un’altra no. Si tratta di un’inutilizzabilità superabile. Ad esempio, potrebbe essere superata quando muore chi ha reso informazioni sommarie in fase di dibattimento. In questo caso, il verbale in quanto atto irripetibile può essere utilizzato;
– patologica, quando l’atto è viziato in quanto acquisito in violazione di norme di legge. L’inutilizzabilità non è in nessun caso superabile.
La prova illegittimamente acquisita non utilizzabile è rilevabile in ogni momento, fino in Cassazione. Sfugge ad una sanatoria.
Art. 192 CPP: libero convincimento del giudice nel valutare la prova, obbligo di motivazione
Il principio del libero convincimento del giudice nel valutare la prova sancito dall’art. 192 c.1 c.c.p. è particolarmente importante. Sussiste l’obbligo della motivazione da parte del giudice al momento di valutare ed utilizzare la prova e deve dare conto dei criteri adottati. La motivazione del giudice serve ai fini di un controllo interno, di un’eventuale impugnazione. Il ‘vizio di motivazione‘ si può impugnare per fare ricorso in Cassazione.
Al comma 2, 3 e 4 dell’art. 192 vengono indicati alcuni criteri cui deve attenersi il giudice nel valutare le prove. Poniamo il caso della valutazione di indizi, fatti certi da cui, secondo canoni di probabilità, si può risalire ad un fatto incerto da dimostrare. Per usare gli indizi nel processo penale, questi devono essere necessariamente precisi, concordanti, plurimi e gravi. A differenza dell’indizio, il sospetto è fondato su circostanze di fatto incerte.
La sentenza n. 22471/2015 della Cassazione Sezioni Unite ha affrontato il delicato tema della valutazione delle intercettazioni. Ha stabilito che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate durante un’intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria. Non sono necessari gli elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, c. 3, c.p.p. Tali dichiarazioni devono essere interpretate e valutate con cura. È necessario cercare i riscontri, elementi che confermano l’attendibilità delle dichiarazioni.
L’articolo 192, in sostanza, pone un limite al libero convincimento del giudice nell’ammettere ed acquisire le prove. Rappresenta un sistema della legalità della prova; il libero convincimento è ancorato soltanto alla fase di valutazione.
Art. 193 CPP: esclusione dei limiti di prova
Nel processo penale, si escludono i limiti della prova indicati dalle leggi civili (non solo processuali civilistiche ma anche extra-penali come quelle amministrative e tributarie). Lo sancisce l’art. 193 CPP con due sole eccezioni: lo stato di famiglia (come nel caso di filiazione illegittima o celebrazione del matrimonio) e di cittadinanza (ad esempio, per riacquistarla o rinunciarvi).