Il reato di resistenza a pubblico ufficiale
Cos’è la resistenza al pubblico ufficiale? Quando si può reagire in presenza di un funzionario pubblico? Alcune persone (poliziotti, medici, etc.), per via del loro ruolo all’interno della società, godono di una tutela maggiore rispetto alle altre.
Si tratta della necessità avvertita dalla normativa di far rispettare maggiormente chi rappresenta lo Stato.
Per comprendere quando c’è resistenza a un pubblico ufficiale è necessario capire chi è un pubblico ufficiale. Secondo la legge, per pubblico ufficiale deve intendersi colui che esercita una funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.
Le prime due funzioni sono riferibili a parlamentari, consiglieri regionali e giudici, mentre per quanto concerne la funzione amministrativa il raggio d’azione è più esteso.
Espletano una funzione amministrativa tutti coloro che dipendono da una pubblica amministrazione: si pensi ai medici negli ospedali, ai cancellieri nei tribunali, ai docenti nelle scuole, ai carabinieri e ai poliziotti.
L’incaricato di un pubblico servizio svolge funzioni residuali: ad esempio, sono incaricati di pubblico servizio anche coloro che sono investiti di una concessione pubblica.
Il codice penale punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni chi usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio (cfr. art. 337 cod. pen.).
Il legislatore penale colloca la resistenza a un pubblico ufficiale nel libro II del codice penale, nel titolo II (Dei delitti contro la pubblica amministrazione), nel Capo II (Dei delitti dei privati contro la pubblica amministrazione).
Il succitato articolo 337 codice penale stabilisce che: “Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”.
Caratteristica fondamentale del reato di resistenza a pubblico ufficiale è che l’atto di ufficio sia già iniziato e che la violenza o la minaccia sia contemporanea allo svolgimento dell’attività.
Il soggetto attivo del reato di resistenza a pubblico ufficiale può essere chiunque: si tratta di un reato comune, ovvero di un crimine che può essere commesso da qualsiasi persona.
La vittima del reato è solamente il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio.
La condotta incriminata nel reato di resistenza a pubblico ufficiale consiste nell’usare violenza o minaccia per opporsi al compimento dell’attività del soggetto passivo.
In altre parole, la persona che si oppone al pubblico ufficiale o all’incaricato del pubblico servizio deve influire negativamente sulla libertà di movimento del pubblico funzionario.
Commette il reato di resistenza al pubblico ufficiale colui che reagisce con minacce verbali. Il reo deve agire con dolo specifico, cioè con la coscienza e la volontà di usare violenza o minaccia al fine di opporsi al compimento di un atto del pubblico ufficiale.
Elemento oggettivo
La condotta tipica del reato di resistenza al pubblico ufficiale si concretizza nell’uso della violenza o della minaccia da chiunque esercitata per “opporsi a un pubblico ufficiale” mentre espleta un atto dell’ufficio o del servizio.
Il reato è integrato da qualsiasi condotta che si traduca in un atteggiamento che inibisce la regolarità del compimento dell’atto dell’ufficio o del servizio, restando esclusa ogni resistenza meramente passiva, come la mera disobbedienza.
Ai fini dell’integrazione del delitto, non è necessario che sia concretamente inibita la libertà di azione del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto dell’ufficio, indipendentemente dall’esito di tale azione.
Si pensi, ad esempio, al caso di un imputato che abbia tentato di fuggire durante un controllo dei carabinieri, rivolgendo minacce di morte e cercando di forzare con il proprio veicolo il posto di blocco.
Affinché si configuri il reato di resistenza al pubblico ufficiale è sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto di ufficio o di servizio, a prescindere dall’effettivo verificarsi di un impedimento che ostacoli il compimento degli atti.
L’elemento materiale della violenza può ravvisarsi nella condotta del soggetto che si dia alla fuga, alla guida dell’auto, ponendo in pericolo l’incolumità degli agenti inseguitori e/o degli utenti della strada (cfr. Corte appello Ancona, 17/02/2020, n.73).
Integra il delitto di resistenza a pubblico ufficiale la condotta del carabiniere che usi violenza nei confronti di colleghi di grado inferiore al fine di opporsi al compimento di un atto d’ufficio (cfr. Cassazione penale sez. VI, 24/09/2019, n.51581).
Non è un crimine opporre una resistenza passiva, in cui manca l’esercizio di qualsiasi violenza o minaccia. Non è reato laddove si tengano comportamenti meramente disobbedienti e di fuga tesi ad evitare il compimento dell’atto del pubblico ufficiale. Pertanto, non è punibile chi si incateni a un termosifone per impedire di essere condotto in carcere, chi si butti a terra inerte per evitare l’arresto oppure chi ricorre a manovre automobilistiche per sfuggire all’accostamento da parte della polizia, sempre che, in quest’ultimo caso, non ponga in pericolo l’incolumità degli stessi Pubblici Ufficiali o anche di terzi incolpevoli per l’effetto della propria guida “spericolata”. In tutti questi esempi non c’è resistenza al pubblico ufficiale perché manca una condotta capace di incidere sulla volontà del pubblico funzionario.
Elemento soggettivo
Per la sussistenza del crimine occorre che il soggetto agente sia assistito dal dolo specifico.
Oltre alla coscienza e volontà di usare violenza o minaccia, è necessario anche l’intento di impedire il compimento dell’atto d’ufficio o di servizio.
Nel reato di resistenza al pubblico sono estranei, per l’individuazione dell’elemento soggettivo, la causa ed il fine del soggetto del reato.
Nel reato di resistenza a pubblico ufficiale l’elemento psicologico consiste nella coscienza e volontà di precludere al pubblico ufficiale con una condotta minacciosa e violenta l’atto d’ufficio ritenuto pregiudizievole per i propri interessi.
Si ricorda che sussiste l’elemento soggettivo del delitto di resistenza a pubblico ufficiale nel caso in cui l’autore del fatto sia consapevole che il soggetto contro il quale è diretta la violenza o la minaccia rivesta la qualità di pubblico ufficiale (cfr. Cassazione penale, sezione VI, sentenza 16 aprile 2004, n. 17701)
Reazione agli atti arbitrari del P.U.
La normativa vigente consente di reagire al pubblico ufficiale la cui condotta sia palesemente illegittima. Si tratta di una causa di giustificazione prevista a tutela dei cittadini nei confronti dei possibili abusi di potere da parte di coloro che potrebbero agire sentendosi superiori alla legge stessa.
Costituisce atto arbitrario del funzionario qualsiasi condotta posta in essere in esecuzione di pubbliche funzioni, di per sé legittime, ma connotata dalla mancata congruenza tra le modalità impiegate e le finalità per le quali è attribuita la funzione stessa.
Un atto aggressivo di resistenza a un pubblico ufficiale è legittimo se il funzionario sta abusando in maniera evidente del suo potere.
È possibile reagire e resistere al pubblico ufficiale solo se questi sta compiendo un atto del tutto arbitrario: immagina a colui che vuole condurti in carcere senza i presupposti di legge (arresto in flagranza).
Diversamente, si rischia l’imputazione per Resistenza a pubblico ufficiale se questi sta compiendo una semplice irregolarità (esempio: se il vigile ti sanziona perché hai mezza ruota dell’auto parcheggiata fuori dalle strisce).