Il reato di intermediazione illecita o sfruttamento del lavoro, c.d. caporalato
Il c.d. ‘caporalato’ è il fenomeno sociale di intermediazione illegale e di sfruttamento del lavoro realizzata dal caporale a danno dei lavoratori costretti a prestare la propria attività lavorativa con orari disumani e in condizioni pericolose.
Scopriamo in questa guida la disciplina normativa contenuta nell’articolo 603 bis del Codice penale, introdotto dalla Legge n. 199 del 2016.
Reato di intermediazione illecita o c.d. “caporalato”: cosa prevede la normativa vigente?
La Legge sul c.d. “caporalato” è entrata in vigore il 4 novembre 2016 con la Legge n. 199 del 29 ottobre 2016, che contiene disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro “nero” in determinati settori.
Approvata in via definitiva dal Parlamento il 18 ottobre 2016 la norma di contrasto al “caporalato” rappresenta sicuramente un traguardo storico per il mercato occupazionale e per i diritti dei lavoratori, in particolare per quelli assunti con contratto stagionale.
Difatti, il c.d. “caporalato” è diffuso soprattutto in determinati ambiti, in primis nel settore produttivo agricolo, ma anche in quello dell’allevamento, manifatturiero, edile e turistico.
Si tratta di un vero e proprio fenomeno sociale allarmante, che espone in serio pericolo l’incolumità personale, la dignità del lavoratore e, nelle ipotesi più gravi, la vita dei lavoratori stessi.
Per non parlare del fatto che il reato di sfruttamento del lavoro porta con sé una serie di conseguenze pregiudizievoli sulla leale concorrenza con la finalità di massimizzare i guadagni e abbattere i costi.
La nuova disciplina contenuta nel testo normativo della Legge n. 199 del 29 ottobre 2016 prevede una pena per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, che va da 1 a 6 anni di reclusione.
Tali pene sono aumentabili fino ad 8 anni se c’è violenza o minaccia e viene irrogata una sanzione da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
Caporalato: un fenomeno sociale allarmante
Il c.d. “Caporalato” ha subito cambiamenti radicali nel tempo. Se in una prima fase tale fenomeno era circoscritto al settore primario, successivamente con il mutamento del contesto sociale ed occupazionale, si è innescato nell’ambito della criminalità organizzata di stampo mafioso.
Bisogna anche sottolineare il fatto che il fenomeno dell’immigrazione clandestina ha consentito alle organizzazioni criminali la creazione di una rete di recruitment della manodopera clandestina.
Anche la crisi occupazionale ha contribuito allo sfruttamento della manodopera con conseguenti risparmi di spesa sul piano retributivo, previdenziale e fiscale.
La stessa figura del c.d. “caporale” ha subito cambiamenti nel tempo: non si limita più ad agevolare l’incontro tra domanda ed offerta di risorse umane, ma espleta l’attività di intermediazione illecita, organizzazione delle risorse umane, gestione degli alloggi, distribuzione della retribuzione con la trattenuta di una percentuale che varia dal 50% al 60% dello stipendio.
Molto spesso i lavoratori stranieri non hanno rapporti diretti con il datore di lavoro, ma intrattengono rapporti con la figura del c.d. “caporale”, che impone condizioni lavorative disumane, condizioni di salute e sicurezza sul posto di lavoro precarie e ritmi di lavoro assolutamente insostenibili.
Nel Settentrione italiano è diffuso il fenomeno delle “finte cooperative sociali di lavoro”: i lavoratori sono apparentemente soci della cooperativa, ma in realtà sono lavoratori somministrati privi di potere decisionale che sono gestiti dai caporali interni.
L’obiettivo delle “finte” cooperative sociali di lavoro è quello di ridurre notevolmente il costo della manodopera a danno del lavoratore, il quale è privo di tutti i diritti riconosciuti dalla contrattazione collettiva, con la conseguente elusione fiscale.
Come si può ben comprendere il fenomeno del caporalato ha subito un’evoluzione: si è passati dallo sfruttamento della manodopera nel settore agroalimentare alle sofisticate forme di intermediazione illegale e utilizzo di manodopera.
Reato di caporalato: cosa prevede la normativa vigente?
La normativa vigente stabilisce che commette il reato di caporalato chiunque recluti risorse umane allo scopo di destinarle al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
Se i (mis)fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da 5 a 8 anni e la sanzione irrogata varia da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
Come si configura lo sfruttamento del c.d. “caporalato”?
Lo sfruttamento del c.d. “caporalato” è configurabile in presenza di una o più delle seguenti condizioni:
- sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;
- corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali;
- sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni degradanti;
- violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, alle ferie.
Sono aggravanti specifiche e comportano l’incremento della pena da un terzo alla metà:
- il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;
- il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a 3;
- l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo.
Reato di intermediazione illecita: il regime sanzionatorio e la responsabilità delle persone giuridiche
La legge n. 199 del 2016 ha inserito nel codice penale l’articolo 603 bis, secondo comma, rubricato “confisca obbligatoria”, che affianca alla pena della reclusione da uno a sei anni e della multa da 500 a 1.000 euro anche una misura di carattere patrimoniale destinata ad impedire la formazione di patrimoni di provenienza criminale.
La disposizione prevede la confisca obbligatoria del prodotto e del profitto proveniente dal reato di intermediazione illecita, salvo che appartengano a persona estranea al reato.
Tale ipotesi di confisca consente di evitare di bloccare la prosecuzione dell’attività lavorativa e di garantire la conservazione del posto di lavoro a quei lavoratori in regola.
Nell’ottica della prosecuzione dell’attività di impresa è sottesa la previsione della possibilità per il giudice di disporre il controllo giudiziario dell’unità produttiva presso cui è stato commesso il reato.
Tra i reati presupposto per la responsabilità amministrativa degli enti, con l’introduzione dell’articolo 603 bis c.p., per le società può trovare applicazione il solo sequestro funzionale alla confisca, disciplinato dall’art. 53 d.lgs. 231/2001.
Per completare il quadro delle conseguenze sanzionatorie occorre fare un cenno alle sanzioni accessorie disciplinate all’art. 603 ter c.p.
Nel caso di condanna per il reato di intermediazione illecita è prevista l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese ed il divieto di concludere contratti di appalto.
La condanna importa l’esclusione per un periodo di 24 mesi da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato o di altri enti pubblici.
Ai sensi dell’articolo 99, secondo comma, numeri 1) e 3), c.p. la durata di questa esclusione è incrementata a 5 anni quando il fatto è commesso da un soggetto al quale sia stata applicata la recidiva.
L’articolo 4 ha modificato l’articolo 380, comma 2, del codice di procedura penale, includendo l’arresto obbligatorio in flagranza.
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