Il reato di Diffamazione
Nel diritto penale italiano il reato di diffamazione è disciplinato dall’art. 595 del Codice Penale, rubricato “diffamazione”.
Tema “caldo” è il reato di diffamazione con riferimento specifico ai social network come strumento di comunicazione.
Il reato di diffamazione: che cosa è e quando si verifica
Come anticipato in premessa, la diffamazione è un reato previsto e punito dall’art. 595 c.p.: esso consiste nell’offesa all’altrui reputazione fatta comunicando con più persone.
Il capo entro cui si trova il reato di diffamazione è il secondo del titolo dedicato ai «Delitti contro la persona», ovvero quello che disciplina i Delitti contro l’onore:
«Oggetto della tutela penale del delitto di diffamazione è l’interesse dello Stato all’integrità morale della persona: il bene giuridico specifico è dato dalla reputazione dell’uomo, dalla stima diffusa nell’ambiente sociale, dall’opinione che altri hanno del suo onore e decoro»
L’offesa alla reputazione non riguarda solo l’ambito personale, ma anche il credo religioso di un soggetto.
Gli elementi necessari perché si possa configurare questo delitto sono tre:
- l’offesa all’onore o al decoro di qualcuno,
- la comunicazione con più persone (è necessario e sufficiente che la stessa avvenga con almeno due persone). Ricordiamo in tale sede che la comunicazione diffamatoria può avvenire anche in tempi diversi,
- l’assenza della persona offesa.
Pertanto, ai fini della configurabilità del reato di diffamazione è necessario che il soggetto offeso non sia presente o non sia in grado di percepire l’offesa.
Non ogni espressione “forte” e “pungente” è idonea a configurare penale responsabilità: il reato sussiste solo in presenza di un’obiettiva capacità offensiva della comunicazione, a prescindere dalla sensibilità del soggetto passivo [Cass. Sez. V 16.02.2011].
L’orientamento giurisprudenziale qualifica la diffamazione come reato di danno, per la cui configurabilità è necessaria la comprensione dell’offesa da parte della pluralità di soggetti.
L’onore, che rappresenta un bene individuale ed è protetto dalla normativa vigente, racchiude in sé una duplice nozione:
- in senso soggettivo, esso si identifica con il sentimento che ciascuno ha della propria dignità morale;
- in senso oggettivo l’onore è la stima o l’opinione che gli altri hanno di noi.
Ad integrare la fattispecie è sufficiente il dolo generico ovvero la mera percezione della capacità offensiva delle espressioni adoperate. Non è quindi richiesto il c.d. “animus diffamandi”, ossia il fine specifico di ledere la reputazione di un’altra persona.
Circostanze aggravanti. Nello specifico, la diffusione a mezzo stampa
La pena base prevista per il reato di diffamazione – reclusione fino ad un anno ovvero multa fino ad € 1.032 – cambia in presenza di una delle seguenti circostanze aggravanti. In particolare:
- reclusione fino a due anni o la multa fino a 2.065 euro in caso di attribuzione di un fatto determinato (art. 595 secondo comma c.p.).
- reclusione da sei mesi a tre anni o irrogazione di una multa non inferiore a 516 euro nel caso di offesa arrecata a mezzo stampa, pubblicità, atto pubblico (art. 595 terzo comma c.p),
- la pena base è aumentata di 1/3 nel caso di offesa arrecata a corpo politico, amministrativo, giudiziario, sua rappresentanza (art. 595 quarto comma c.p.).
La diffamazione a mezzo stampa è punita più severamente perché, dato che il prestigio e l’autorevolezza del quotidiano aumentano la credibilità delle dichiarazioni ivi riportate, di conseguenza, aumenta anche la gravità delle conseguenze dannose nel caso di dichiarazioni offensive.
Nel caso in cui l’offesa all’altrui reputazione venga posta in essere con il mezzo della stampa, assume particolare rilievo il bilanciamento effettuato dal legislatore tra il reato in questione e la libertà della manifestazione del proprio pensiero tutelata dagli articoli 21 Cost. e 51 c.p.
Quando la diffusione di notizie è giustificata e non costituisce reato: il diritto di cronaca giornalistica
L’aver agito nell’esercizio del diritto di cronaca o per doveri di informazione costituisce una scriminante del reato di diffamazione.
Pertanto, ciò implica che quando sono riportati fatti relativi alla vita di una persona, di per sé potenzialmente iidonei a ledere la sua reputazione, non si ha diffamazione se il diritto di cronaca viene esercitato nel rispetto di 3 limiti principali:
- utilità sociale dell’informazione. La finalità della pubblicazione deve essere quella di assolvere ad un bisogno di informazione della collettività;
- verità oggettiva della notizia. E’ compito del giornalista effettuare penetranti controlli, risalendo sino alla fonte primaria;
- forma civile dell’esposizione dei fatti e della valutazione. Il giornalista deve riportare la notizia in maniera oggettiva, con un linguaggio appropriato ed adeguato, senza scadere in valutazioni, commenti e considerazioni personali e/o valutative.
Possiamo concludere che la linea di demarcazione tra il reato di diffamazione e l’esercizio del diritto di cronaca è molto labile e spetta al Giudice decidere se sussista o meno il reato, previa verifica del rispetto dei limiti sopra citati nel caso di specie.
La diffusione sul Web rientra nella fattispecie aggravata di Diffamazione a mezzo stampa
Il riferimento a “qualsiasi altro mezzo di pubblicità” di cui all’articolo 595 c.p., comma 3, consente di ritenere aggravata la diffamazione consumata tramite la rete Internet.
A differenza di quanto avviene per i media tradizionali, oggi sul web le notizie ed i commenti non sono sempre frutto dell’attività di professionisti
Offendere una persona sul web è un comportamento molto grave e si rischia una querela per diffamazione aggravata.
Quando si offende una persona telematicamente, l’offesa all’onore giustifica un più severo trattamento sanzionatorio (in tal senso cfr. Cass. pen., 16 gennaio 2015, n. 6785).
Con riguardo alla diffamazione a mezzo Internet, la sussistenza del requisito della “comunicazione a più persone” si presume fino a prova contraria nel momento stesso in cui il messaggio offensivo viene inserito su un sito Internet che, per sua natura, è destinato ad essere visitato da un numero indeterminato di persone in breve tempo.
La querela per diffamazione va presentata entro tre mesi, i quali decorrono dal momento in cui i terzi percepiscono l’espressione ingiuriosa e, dunque, nel caso in cui frasi o immagini lesive siano immesse sul web, nel momento in cui il collegamento sia attivato sicché il danneggiato, normalmente, ha notizia del messaggio offensivo accedendo direttamente in rete o ne ha notizia tramite altri soggetti che, in tal modo, ne sono venuti a conoscenza [Cass. Sez. V n. 23624/2012].
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