Avvocato Brescia | Il caso Sea Watch e le motivazioni del Gip di Agrigento
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Il caso Sea Watch e le motivazioni del Gip di Agrigento

Tra i numerosi fatti di cronaca-politica intercorsi quest’estate, sicuramente degno di nota e dell’attenzione mediatica è stato il caso della nave Sea Watch, nave battente bandiera olandese, capitanata da Carola Rakete, la quale, nonostante la fortissima opposizione del Ministero dell’Interno italiano, decideva comunque di attraccare al porto di Lampedusa appellandosi alle fonti di diritto internazionale a tutela dei diritti umani nonché alle precarie condizioni di salute fisico-psicologiche dei suoi passeggeri. Durante le manovre di ormeggio, la nave urtava la Vedetta della Guardia di Finanza (GDF) italiana.

Per questi fatti, una volta attraccata, Carola Rakete veniva arrestata per i reati di “Resistenza o violenza contro nave da guerra” [art. 1100 cod. nav.] e “Resistenza ad un pubblico ufficiale” [art. 337 c.p.]; nei suoi confronti il Pubblico Ministero (PM) di Agrigento chiedeva non solo la convalida dell’arresto, ma anche la misura cautelare del Divieto di dimora in provincia di Agrigento.

 

LA VICENDA NEL DETTAGLIO

Nella mattina del 12 giugno 2019, la nave Sea Watch 3, battente bandiera olandese, su segnalazione di “Colibri”, velivolo da ricognizione, soccorreva 53 persone nella c.d. Zona SAR (Search And Rescue, ricerca e soccorso) libica, distante 47 miglia nautiche dalle coste del Paese. Riscontrato che l’imbarcazione era in stato di distress (in pericolo) contattava i centri di coordinamento di Italia, Malta, Olanda e Libia: quest’ultima dichiarava di prendere il controllo delle operazioni. Sicché la Libia non poteva qualificarsi come porto sicuro, la Sea Watch 3 andava alla ricerca di una destinazione alternativa o del trasbordo su un’altra unità. Non avendo ricevuto comunicazioni in merito, virava a nord, verso il POS nelle più strette vicinanze rispetto alla posizione di salvataggio.

Il Ministero dell’Interno intimava alla motonave di non entrare in acque italiane. Entrarvi avrebbe arrecato pregiudizio all’ordine pubblico e sarebbe stato ritenuto offensivo. La Sea Watch 3 si portava alla distanza di 17 miglia nautiche dall’Isola di Lampedusa. In data 15 giugno, il Ministro dell’Interno, di concerto con il Ministro della Difesa e con il Ministro delle Infrastrutture e Trasporti, formalizzava il Provvedimento Interministeriale, con il quale disponeva il divieto di ingresso, transito e sosta della nave Sea Watch 3 nel mare nazionale.

Passati parecchi giorni al limite delle acque territoriali, la M/N Sea Watch 3 volgeva verso l’Italia. Immediatamente venivano inviate sul posto la Vedetta GDF insieme a una motovedetta che le intimavano l’alt e la invitavano a tornare indietro. Tali intimazioni venivano disattese dal comando, invocando lo stato di necessità. La notte del 29 giugno, nelle manovre di ormeggio presso la banchina del Porto di Lampedusa, urtava la Vedetta GDF che però riusciva a sfilarsi e ad ormeggiare poco lontano dalla Sea Watch 3.

 

IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO

La decisione del Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) di Agrigento sulla richiesta di convalida dell’arresto e della misura cautelare nei confronti di Carola Rakete si basa sull’individuazione ed applicazione di molteplici norme al caso di specie.

Quanto alle FONTI INTERNAZIONALI, il GIP richiama: la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay, la Convenzione c.d. SOLAS e la Convenzione SAR (Search And Rescue) sulla ricerca ed il salvataggio marittimo: si tratta di CONVENZIONI INTERNAZIONALI ratificate ed esecutive per l’Italia, le quali, sulla base del principio della cooperazione internazionale, impongono al comandante di una nave di prestare assistenza a chiunque – anche quindi ad uno straniero irregolare – si trovi in pericolo ed in mare nonché di recarsi il prima possibile in soccorso delle persone in difficoltà; il tutto a prescindere dal riparto delle zone di ricerca e salvataggio concordate tra gli Stati interessati allorquando lo richieda l’imminenza del pericolo.

 

QUANTO ALLE FONTI NAZIONALI, in primis vengono richiamati: l’art. 10 Costituzione Italiana: L’ordinamento giuridico italiano si adegua alle norme del diritto generalmente riconosciute”; art. 117 Costituzione Italiana: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Dalla lettura di queste due norme si comprende come l’Italia si impegni ad emanare le proprie leggi rispettando, in prima battuta e preliminarmente, gli impegni assunti in sede internazionale, limitando quindi SPONTANEAMENTE la propria Sovranità.

Nel caso di specie, l’Italia volontariamente ha deciso di rispettare ed applicare le Convenzioni internazionali sopra citate e di non adottare provvedimenti legislativi in netto contrasto con le medesime.

 

LE DICHIARAZIONI DI CAROLA RAKETE

Il Comandante della Sea Watch 3, sentito dal GIP di Agrigento in merito ai fatti accaduti, riferiva di aver rinvenuto in mare un gommone in condizioni precarie, privo di benzina, persone con esperienza nautica nonché di equipaggio, carica di persone sprovviste di giubbotto di salvataggio.

Dato il quadro normativo in vigore e le sue conoscenze personali, il comandante ammetteva di essersi avvicinata a Lampedusa, considerandolo “porto sicuro” e più vicino per lo sbarco, presentando contestualmente domanda di poter entrare alle autorità, ma purtroppo invano. Il comandante, sentita in sede di interrogatorio di garanzia, forniva dettagli sullo stato di malessere e di emergenza delle persone a bordo della propria nave, dichiarando: “quando abbiamo detto alle persone che l’esito era negativo la pressione psicologica era diventata intensa perché non avevamo nessuna soluzione e le condizioni mediche peggioravano. (…) Diverse persone del mio team hanno espresso serie preoccupazioni, uno dei medici ha detto che non avrebbe potuto prevedere più le reazioni delle persone a bordo… diceva che ogni piccola cosa avrebbe potuto far esplodere la situazione ed il coordinatore-ospite ha detto che le persone stavano perdendo la fiducia nell’equipaggio”. Per siffatti motivi, convinta della ragionevolezza delle proprie azioni, il comandante dichiarava di aver sollevato l’ancora ed aver iniziato la manovra d’ingresso nel porto di Lampedusa, dandone immediatamente comunicazione alle autorità competenti.

 

L’APPLICAZIONE DELLE NORME DI RIFERIMENTO AL CASO DI SPECIE: LE VALUTAZIONI DEL GIP

Dopo aver applicato al caso di specie il quadro normativo nazionale ed internazionale citato, il GIP Dott.ssa Alessandra Vella ha rilevato:

  • Da un lato, l’insussistenza del reato di cui all’art. 1100 cod. nav. (“Resistenza o violenza contro nave da guerra”), ritenendo che nel caso di specie le unità navali della Guardia Di Finanza non potessero considerarsi navi da guerra, perché operative in quel momento all’interno e non all’esterno delle acque territoriali italiane. Pertanto, mancando questo elemento specifico, il reato non sussiste;
  • Dall’altro lato, la non punibilità dell’indagata per il reato di cui all’art. 337 c.p. (“Resistenza a un pubblico ufficiale”) per l’effetto della scriminante del c.d. “Adempimento di un dovere” [art. 51 c.p.]: il comandante Carola Rakete, pur avendo nel concreto opposto resistenza alla Guardia Di Finanza, è sollevata da penale responsabilità perché ha agito in base ad un dovere imposto da più norme giuridiche, nazionali ed internazionali, ossia il Dovere di soccorso di naufraghi.

 

Esclusa la fondatezza del capo di imputazione, il GIP non ha convalidato l’arresto né ha accolto la richiesta di applicazione di misura cautelare personale.

 

PARERI OPPOSTI

Inutile dire che il caso in commento ha suscitato fortissimi pareri contrastanti, più o meno fondati su convinzioni politiche.

Da un punto di vista giuridico, è giusto precisare come sia opinione comune dei giuristi contrari alla sentenza del GIP di Agrigento che le navi della Gdf siano SEMPRE navi da guerra, in quanto issano il vessillo ed hanno i colori della Marina militare, a prescindere quindi da ove precisamente esse si trovino collocate. Un’interpretazione di questo tipo, chiaramente, avrebbe portato il Giudice per le Indagini Preliminari a decidere diversamente, integrando i fatti il reato di cui all’art. 1100 Cod. Nav.

Altri hanno sostenuto, dal canto loro, che dei profughi debba farsene carico in primis lo Stato con cui il profugo viene prima in contatto; nella fattispecie, i Paesi Bassi, avendo la nave bandiera olandese. Infine, alcuni sostengono che la Convenzione di Montego Bay – ratificata ed esecutiva per l’Italia – garantisca comunque allo Stato una riserva di legge, liberandolo dal limite del rispetto della fonte internazionale nell’emanazione delle proprie leggi.