Avvocato Brescia | Gender gap: cosa è cambiato dopo la legge n. 162/2021
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Gender gap: cosa è cambiato dopo la legge n. 162/2021

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Gender gap: cosa è cambiato dopo la legge n. 162/2021

La l. 162 del 2021 è stata approvata per aggiornare gli strumenti di contrasto alle disparità di genere in ambito lavorativo (il c.d. gender gap), valorizzando il ruolo dei Consiglieri di parità e introducendo alcuni strumenti che intendono premiare le aziende più virtuose sotto tale ambito di analisi.

Ma quali sono le principali novità introdotte?

Discriminazione diretta e indiretta

In primo luogo, la l. n. 162/2021 interviene modificando il testo dell’art. 25 d.lgs. n. 198/2006, introducendo la definizione delle condotte che costituiscono discriminazione diretta e indiretta.

In particolare, con riferimento alle discriminazioni dirette, tra le fattispecie vengono ricondotte espressamente anche le condotte tenute nei confronti delle candidate e dei candidati in fase di selezione del personale che producano effetti pregiudizievoli discriminando le lavoratrici o i lavoratori in base al loro sesso.

Con riferimento alle discriminazioni indirette, invece, si aggiunge il riferimento alle prassi di natura organizzativa o gli incidenti sull’orario di lavoro, apparentemente neutre, che possano porre i lavoratori o i candidati in fase di selezione, di un determinato sesso, in una posizione di particolare svantaggio rispetto a quella dei lavoratori dell’altro sesso.

La normativa chiarisce dunque che costituisce discriminazione “ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti, pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni: a) posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori; b) limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali; c) limitazione dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera”.

I Consiglieri di parità

La legge prevede altresì un potenziamento del ruolo dei Consiglieri di parità, una figura istituita a livello nazionale, regionale e metropolitano e dell’ente di area vasta, a cui è stato affidato il compito di promuovere l’attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e non discriminazione per donne e uomini nel lavoro, controllando il rispetto della normativa antidiscriminatoria e di promozione delle pari opportunità e valorizzando a tal fine anche le pratiche di dialogo sociale.

In aggiunta ai compiti che erano già stati attribuiti al Consigliere, ora la legge n. 162/2021 stabilisce che ogni due anni tale soggetto debba presentare al Parlamento “una relazione contenente i risultati del monitoraggio sull’applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del presente decreto”.

Il rapporto aziendale biennale sulle pari opportunità

Di rilievo è anche l’introduzione dell’obbligo di presentazione al Consigliere di parità regionale un rapporto biennale dettagliato sullo stato dell’occupazione maschile e femminile che fino all’introduzione della legge era previsto solamente per le imprese con più di cento dipendenti e che ora viene invece esteso alle imprese con oltre cinquanta dipendenti.

Si afferma altresì che le aziende pubbliche e private che occupano fino a cinquanta dipendenti possono comunque, su base volontaria, redigere il rapporto, definito come un’importante strumento di trasparenza che può incrementare la consapevolezza delle discriminazioni eventualmente presenti e porre le basi per la loro rimozione.

In caso di mancata presentazione del rapporto sulla condizione del personale maschile e femminile, la legge prevede ora che nei casi più gravi è disposta la sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall’azienda.

Inoltre, l’Ispettorato nazionale del lavoro, nell’ambito delle proprie attività, potrà verificare la veridicità dei rapporti presentati dall’azienda: in caso di rapporti mendaci o incompleti, è prevista una sanzione amministrativa tra 1.000 e 5.000 euro.

Il sistema premiale

La l. n. 162/2021 provvede a regolamentare la nuova certificazione della parità di genere, che ha il compito di “attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità”.

Peraltro, all’acquisizione di tale certificazione è legato il sistema di premialità previsto dalla legge, che destina alle aziende private che ne siano in possesso cinquanta milioni di euro annui per finanziare uno sgravio contributivo dell’1% sui contributi a carico del datore di lavoro, ferma restando l’aliquota per il calcolo delle prestazioni pensionistiche e con un limite massimo di 50.000 euro per azienda.

Oltre a tale forma di premialità spunta quella che prevede che alle aziende private che alla data del 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento siano in possesso della certificazione della parità di genere venga attribuito un punteggio premiale per la valutazione, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, di proposte progettuali utili per concedere aiuti di Stato e cofinanziamenti degli investimenti sostenuti, i cui criteri applicativi saranno indicati dalle amministrazioni aggiudicatrici nei bandi di gara, negli avvisi, negli inviti relativi alle procedure per l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere.

Attività di intermediazione finanziaria

Tra le principali novità della norma chiudiamo infine con la disposizione con cui si interviene sul tema di equilibrio di genere negli organi delle società pubbliche, prevedendo che l’obbligo secondo cui lo statuto societario deve prevedere un riparto degli amministratori secondo criteri che assicurano l’equilibrio tra i generi, sia ora applicabile anche alle società costituite in Italia controllate da pubbliche amministrazioni, non quotate in mercati regolamentati.

Stando al quadro normativo, il genere meno rappresentato deve ottenere almeno 2/5 degli amministratori eletti, per almeno 6 mandati consecutivi, pena la diffida da parte di Consob e, in caso di inottemperanza, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 100.000 a 1.000.000 euro, con fissazione di un nuovo termine di tre mesi per l’adempimento, in mancanza del quale scatta la decadenza dei componenti eletti.