Dieta vegana per i propri figli: tra libertà educativa e diritto alla salute del minore
Se le parti non concordano sul regime alimentare, un giudice deve far valere il superiore interesse del minore, con riferimento ai comportamenti abitudinari tenuti nella cura e nell’educazione. Terrà conto della salute e delle esigenze di crescita, prendendo in considerazione anche le ricerche scientifiche. Con la sentenza del 19 ottobre 2016, il Tribunale di Roma, Sez. I civ., è intervenuto sulla scelta materna di praticare per la figlia minorenne una rigida dieta vegana.
Il padre, contrario, proponeva ricorso al giudice della separazione: temeva che un piano alimentare tanto severo potesse essere causa della scarsa crescita in peso e in altezza, come riportato sul certificato medico da egli presentato.
Malgrado il negato assenso dal ricorrente, la madre aveva preteso di far adottare alla minore una dieta vegana anche a scuola. La bambina era pertanto obbligata a mangiare cibo differenti da quello degli altri compagni, accusando, secondo il padre, una “ghettizzazione”, potenzialmente lesiva della psiche della minore e delle sue relazioni interpersonali con i compagni. Anche per questi motivi, chiedeva che la mamma garantisse alla figlia una nutrizione varia, completa ed equilibrata.
Dieta vegana: il maggiore interesse del minore
Così come stabilito nell’art. 337ter comma 3 c.c., nel caso in cui genitori non raggiungano il comune accordo in questioni inerenti il minore, si rende necessario il provvedimento giudiziale. Il prevalente “interesse del minore” – già indicato nella riforma del diritto di famiglia del 1975 e nella L. 4 maggio 1983 – va garantito in situazioni giuridicamente rilevanti, quali la salute, la formazione, l’istruzione e la libertà, pure nell’eventualità di netto conflitto tra adulti, primi fra tutti i genitori. Siccome la personalità del fanciullo è in formazione, il diritto dei minori si basa sui concreti bisogni e sulle reali necessità di una persona che, legittimamente, aspira all’indipendenza.
Nel caso di specie, il Tribunale di Roma ha ritenuto che la decisione inerente al regime alimentare fosse strettamente interconnessa con il diritto alla salute del minore e, pertanto, che fosse necessario decidere giudizialmente nel superiore interesse della bambina, a prescindere dalle posizioni dei genitori.
Il Collegio verificava dunque l’esistenza di ragioni mediche e prendeva nota delle abitudini comuni dei bambini dell’età della figlia del ricorrente, consultando le statistiche. Una volta attestate le buone condizioni di salute della bambina e scongiurate allergie o intolleranze, determinava che seguisse una dieta senza costrizioni nell’istituto scolastico.
Libertà educativa, nel rispetto della salute
Rimane sempre valido il principio di libertà educativa, che riconosce il diritto dei genitori di educare i figli conformemente alle proprie convinzioni, ma evitando di pregiudicare il loro interesse materiale e morale. Oltre alla norma astratta, il Collegio è incaricato a esaminare la situazione specifica di quel bambino, inserito in un certo contesto familiare, sociale ed economico.
Tutto ciò necessariamente premesso, il Giudice, rilevata la più lenta crescita della bambina rispetto ai suoi coetanei, adottava la cosiddetta “normalità statistica”. Il punto cruciale si fondava sulla valutazione positiva data dagli organi statali competenti (Ministero della salute e della pubblica amministrazione) alla dieta onnivora, normalmente praticata negli istituti scolastici. Essa, statisticamente, ad oggi, consentirebbe la corretta crescita dei minori.
Il disegno di legge per assicurare al minore una dieta sana ed equilibrata
L’argomento in discorso, oltre ad essere oggetto di discussione nell’attuale contesto storico-culturale, è stato portato all’attenzione del Parlamento. Si tratta del Disegno Di Legge n. 3972/2016, firmato dalla deputata Elvira Savino (Forza Italia), che propone di rendere penalmente perseguibile chiunque impone o adotta nei confronti di un minore degli anni 16, sottoposto alla sua responsabilità genitoriale o affidataria, una dieta alimentare priva di elementi essenziali per la crescita sana ed equilibrata. Qualora siffatta proposta divenisse legge, i trasgressori sarebbero puniti con una pena che può arrivare a un anno di reclusione.
“Ormai da anni e, in modo particolare, nell’ultimo decennio – scrive Savino nella premessa al DDL – si è andata diffondendo in Italia la credenza che una dieta vegetariana, anche nella sua espressione più rigida della dieta vegana, apporti cospicui benefìci alla salute dell’individuo. Il problema sorge quando ad essere coinvolti sono i minori. Molte volte, infatti, soprattutto ai figli di genitori che seguono diete vegane o vegetariane, viene imposta a minori un’alimentazione che esclude categoricamente e imprudentemente alimenti di origine animale e loro derivati“, con seguente carente assunzione di ferro, vitamine, zinco e omega-3, tutte sostanze indispensabili per uno sviluppo ottimale.
Il fine ultimo della proposta di legge – afferma la deputata – è di “stigmatizzare definitivamente le condotte alimentari incaute e pericolose imposte dai genitori, o da chi ne eserciti le funzioni, a danno dei minori di età”.
Le pene ai trasgressori
Per il reato-base, è previsto fino a un anno di reclusione, se dal fatto “deriva al minore una malattia o una lesione personale permanente” la pena è della reclusione da due anni e sei mesi a quattro anni”; se poi causa la morte, la pena è della reclusione da quattro a sei anni. Se adottato nei confronti di bambini con meno di tre anni, le pene vengono aumentate di dodici mesi.
Il DDL del 2016 è ancora oggi all’esame preliminare della II Commissione Giustizia, in attesa, pertanto, del parere di quest’ultima prima di approdare eventualmente alla discussione delle Camere