Avvocato Brescia | Caso DJ Fabo: il “sì” della Corte al suicidio assistito
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Caso DJ Fabo: il “sì” della Corte al suicidio assistito

Ne avevamo già parlato in un precedente articolo dedicato alla libertà di scegliere “come e quando morire”: il caso del DJ Fabo ci ha consentito di argomentare sul procedimento nei confronti di Marco Cappato per il suicidio assistito di Antoniani Fabiano (detto Fabo), un giovane ragazzo rimasto tetraplegico e cieco in seguito ad un terribile incidente d’auto.

La questione di legittimità Costituzionale era stata sollevata dal Tribunale di Milano nel febbraio 2018, quando il caso del DJ Fabo aveva scatenato un forte clamore mediatico.

Ricostruiamo la vicenda alla luce della recente sentenza della Corte che non solo si pronuncia su questo caso specifico, ma individua anche dei criteri in presenza dei quali ritiene non sussistente il reato di cui all’art. 580 c.p.

Caso DJ Fabo: l’antefatto

Il 28 febbraio 2017 Marco Cappato si presentava presso i Carabinieri di Milano dichiarando di essersi recato in Svizzera per accompagnare presso la sede della Dignitas Fabiano Antoniani (conosciuto come DJ Fabo).

In questa struttura sanitaria, Fabo aveva programmato e poi dato corso al suo suicidio assistito.

Marco Cappato è stato iscritto nel registro degli indagati da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, il quale nel maggio 2017 ha presentato nei confronti dell’indagato richiesta di archiviazione, nella quale si è proposta un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 580 c.p., tale per cui la condotta è da ritenersi penalmente irrilevante.

Dopo essere stata fissata l’udienza dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano, Dott. Luigi Gargiulo, i PM hanno chiesto al Giudice di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. (rubricato “Istigazione o aiuto al suicidio”), in relazione alla parte in cui incriminava la condotta di “partecipazione fisica” o “materiale” al suicidio altrui, senza escludere la rilevanza penale della condotta di chi aiuta il malato terminale a suicidarsi.

In data 10 luglio 2017, il Giudice ha rigettato le richieste avanzate dai PM e dalla difesa di Marco Cappato e ha imposto alla Procura di formulare l’imputazione nei confronti di Marco Cappato per la fattispecie di aiuto al suicidio.

In data 5 settembre 2017, Marco Cappato ha chiesto di essere giudicato con il rito immediato.

Dopo il rinvio della Corte all’udienza del 4 dicembre 2017 sono stati sentiti vari testimoni, tra cui la mamma e la fidanzata di Fabiano Antoniani e Johnny Enriques, assistente medico.

All’udienza del 17 gennaio 2018, la pubblica accusa ha chiesto l’assoluzione dell’imputato e, in data 14 febbraio 2018, la Corte di Assise di Milano ha pronunciato un’ordinanza con cui si sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p.

In data 23 ottobre 2018 la Corte Costituzionale ha deciso di rinviare la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 c.p. all’udienza del 24 settembre 2019.

In data 22 novembre 2019 è stata depositata la sentenza n. 242/2019, con la quale la Corte Costituzionale dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. «nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, […] ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, […]».

Disciplina articolo 580 Codice Penale

Il Codice Penale non distingue le ipotesi di istigazione e di aiuto al suicidio, occupandosi della materia nell’art. 580 c.p., il quale prevede che:

Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.”

Pertanto, il Legislatore ha scelto di punire la condotta del soggetto che determina o rafforza il proposito altrui di suicidarsi.

Il Legislatore ritiene prioritaria l’esigenza di salvaguardare l’indisponibilità di un bene personalissimo come la vita.

Legalizzare l’aiuto al suicidio andrebbe a violare il principio dettato dall’art. 3 della Costituzione, ossia il principio di uguaglianza tra uomini.

La vita è una res da preservare categoricamente, senza prevedere alcuna alternativa nel caso in cui un soggetto viva in una condizione di sofferenza irreversibile.

La sentenza della Corte

Gli “ermellini” hanno stabilito che non è punibile ai sensi dell’articolo 580 c.p.:

chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.”

La Consulta ha stabilito che si può ricorrere anche in Italia al suicidio assistito, con i dovuti limiti e nel rispetto di alcune condizioni.

Pertanto, i giudici hanno inteso subordinare la non punibilità delle condotte di aiuto al suicidio alla verifica della sussistenza di patologie irreversibili (come quelle in cui versava DJ Fabo).

Inoltre, il paziente malato deve trovarsi in una situazione di piena capacità nell’espletare scelte consapevoli.

Con questa Sentenza la Corte ha compiuto un passo in avanti, lanciando un monito all’elaborazione alla futura elaborazione di una disciplina ad hoc.

Ciò che è certo è che a chiarire il rapporto tra suicidio assistito ed eutanasia è stato il Comitato Nazionale per la Bioetica.

Nel testo pubblicato il 18 luglio 2019 ha sancito che l’eutanasia è “l’atto con cui un medico o altra persona somministra farmaci su libera richiesta del soggetto consapevole e informato, con lo scopo di provocare intenzionalmente la morte immediata del richiedente. L’obiettivo dell’atto è anticipare la morte su richiesta al fine di togliere la sofferenza […] (cfr. art. 579 c.p.).”

Nel caso di assistenza al suicidio è l’interessato che compie l’ultimo atto che provoca il suo decesso grazie alla collaborazione di un medico (aiuto al suicidio medicalizzato). Ed è in presenza di questa fattispecie che la Corte Costituzionale ha escluso la punibilità ex art. 580 c.p.

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