Avvocato Brescia | Bullismo: quando scatta il reato di violenza privata
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Bullismo: quando scatta il reato di violenza privata

Nonostante le campagne di sensibilizzazione e di educazione, il fenomeno sociale del bullismo non accenna a diminuire. Tanto che si rende necessario mettere in atto nuovi interventi anche giurisprudenziali per disciplinare la portata di questo fenomeno.

Si compiono atti di bullismo quando si verifica almeno una delle seguenti condizioni:

– volontà di attuare condotte offensive o finalizzate a fare del male ad una persona (bersaglio);

– atteggiamenti di prevaricazione e sopraffazione (fisica e verbale), episodi aggressivi compiuti regolarmente e ripetutamente;

– abuso di potere del bullo o bulli nei confronti della vittima o vittime;

– presenza di un pubblico che umili la parte offesa durante le aggressioni subite.

Di recente, è intervenuta la Corte di Cassazione Penale che, con la sentenza n. 163/2021 ha inteso dimostrare che il bullismo può connotare gli estremi di un vero e proprio reato. Ricordiamo, infatti, che il bullismo di per sé è un fenomeno sociale. In base al singolo caso, viene di volta in volta associato a vari tipi di reati.

Questo allarmante fenomeno fa subito venire in mente i giovani e giovanissimi, i minori, i compagni di scuola, ma può riguardare anche altri contesti: i luoghi di lavoro, i rapporti di vicinato, i social network.

La sentenza del 5 gennaio 2021 n. 163 della Cassazione ha determinato che gli atti di bullismo integrano il reato di violenza privata quando producono nella vittima uno stato di soggezione e coercizione della sua volontà.

 

Bullismo e violenza privata: sentenza n. 163/2021 della Cassazione Penale

Il fatto costitutivo del bullismo non è la violenza o la minaccia, ma la coercizione.

Scatta il reato di violenza privata (ex art. 610 c.p.) quando il bullo pone la vittima in una condizione di soggezione psichica a seguito dell’atto violento, di minacce e prepotenze.

Il bene tutelato è la libertà psichica che, in questo caso, viene compromessa dalla coercizione della volontà.

La Cassazione ha respinto l’idea di coincidenza tra le condotte minacciose e violente e l’evento di bullismo come conseguenza istantanea e priva di successive conseguenze.

Ha chiarito meglio il concetto spiegando che è sufficiente la compressione della libertà psichica della vittima di bullismo (costretto a subire prevaricazioni o messo alla berlina pubblicamente) per configurare il reato di violenza privata che lede l’autodeterminazione della vittima stessa.

Vediamo come si sono svolti i fatti e perché la Cassazione ha emesso questa sentenza.

 

I fatti, la condotta prevaricatrice del bullo

Uno studente minorenne è stato condannato per atti di bullismo compiuti ai danni di un compagno di classe.

Nello specifico, il bullo ha indotto la vittima a:

– subire il furto di materiale scolastico;

– subire a livello psicofisico la volgare simulazione di atti sessuali da dietro mentre il bullo si appoggiava sul suo corpo davanti ad altri compagni di scuola;

– tollerare parolacce scritte sui libri, sputi in faccia, calci.

Nei primi due gradi di giudizio, il bullo è stato condannato per violenza privata e lesioni personali (Tribunale per i Minori di Bologna e Corte di Appello di Bologna, Sezione per i minorenni).

Successivamente, il minore bullo ha fatto ricorso in Cassazione contestando il fatto che la condotta era occasionale, considerando il modesto disvalore del fatto e l’incensuratezza dell’imputato.

La Cassazione, con la sentenza n. 163/2021, ha respinto il ricorso condannando il bullo per il reato di violenza privata (ex art. 610 c.p.) che ha lo scopo di tutelare la salute psichica dell’individuo. Questo reato dispone la reclusione fino a 4 anni per chiunque, con minaccia o violenza, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualcosa.

I giudici hanno ricordato che il concetto di violenza si riferisce a qualsiasi atto o fatto compiuto dal bullo finalizzato alla coartazione della libertà fisica o psichica della vittima che viene così indotta a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la sua volontà, comprimendo la sua libertà di autodeterminazione e di azione.

 

Bullismo associato a diversi reati

Il bullismo, di per sé, è un fenomeno sociale allarmante ma non un reato. Nell’ordinamento italiano, manca una normativa ad hoc.

Viene punito penalmente associandolo ad alcuni reati attraverso cui si manifesta (molestie, stalking, lesioni, percosse, violenze sessuali di gruppo, minacce, razzismo, estorsione, violenza privata, cyberbullismo) a seconda dei singoli casi.

In sostanza, la legge tende a reprimere il bullismo attribuendolo ai seguenti reati eventualmente commessi:

percosse (art. 581 c.p.) e/o lesioni personali (art. 582 c.p.) se la conseguenza del bullismo è una patologia o uno stato di malattia della vittima. Le aggressioni fisiche perpetrate da un gruppo di studenti ai danni dei propri compagni di scuola rientrano nel mobbing scolastico;

minaccia (art. 612 c.p.) con cui si punisce la ‘promessa’ implicita o esplicita, diretta o indiretta di un danno futuro ingiusto;

diffamazione (art. 595 c.p.), quando le espressioni sono diffuse dal bullo online (cyberbullismo). A differenza dell’ingiuria (reato depenalizzato nel 2016), la diffamazione è caratterizzata dall’offesa al decoro o all’onore in assenza della vittima e tramite comunicazione con 2 o più persone anche in tempi diversi (passaparola diffamatorio), atteggiamento tipico del bullismo;

violenza privata (art. 610 c.p.), il reato di cui trattiamo in questo focus. In questo caso, la vittima viene costretta, con minaccia o violenza, a fare, tollerare od omettere qualcosa;

atti persecutori (art. 612-bis c.p.), il cosiddetto stalking che crea nella vittima almeno una delle seguenti condizioni: 1) perdurante e grave stato di ansia o paura 2) fondato timore per l’incolumità propria, di un prossimo congiunto o persona legata da una relazione affettiva con la vittima 3) cambiamento delle abitudini di vita. Gli atti persecutori possono avvenire anche utilizzando le nuove tecnologie (cyberstalking) ovvero tramite e-mail o SMS offensivi o violenti, sui blog, forum, app di messaggistica istantanea, pubblicando video compromettenti sui social network o su qualsiasi piattaforma informatica;

istigazione al suicidio o aiuto al suicidio (art. 580 c.p.), quando le vessazioni e le pressioni inducono la vittima al suicidio. Se il suicida ha un’età inferiore a 14 anni, l’autore del delitto risponderà di omicidio volontario (art. 575 c.p.).

 

Bullismo: conseguenze penali in base all’età

Il bullo che commette reati penali può essere punito soltanto se viene denunciato. Di conseguenza, la prima cosa da fare per difendersi è presentare denuncia alle autorità. Se l’atto di bullismo è molto grave, si procederà con la denuncia d’ufficio.

In Italia, le conseguenze penali variano a seconda dell’età del bullo al momento del fatto:

età inferiore a 14 anni: viene assolutamente esclusa l’imputabilità;

– soggetti di età compresa tra i 14 e i 18 anni: il giudice deve accertare, per ogni singolo caso, se al momento del fatto sussisteva l’effettiva capacità d’intendere e di volere dell’autore del reato. La parte lesa potrà richiedere il risarcimento dei danni subiti ai genitori del bullo convivente (ex art. 2048 c.c.);

dai 18 anni in su: il soggetto è maturo, dunque imputabile e processabile a meno che non venga riscontrato un vizio o parziale di mente.