Avvocato Brescia | Assegnazione della casa familiare: cosa è e quando viene decisa
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Assegnazione della casa familiare: cosa è e quando viene decisa

L’assegnazione della casa familiare – disciplinata dall’art. 337-sexies c.c. – è il provvedimento mediante il quale il Giudice della separazione statuisce quale dei due coniugi potrà ancora abitare nel domicilio della famiglia, un tempo comune ad entrambi. Il presupposto fondamentale perché il Giudice possa decidere di assegnare la casa familiare a questo o a quel coniuge, a prescindere da chi sia il proprietario dell’immobile, è la presenza di figli minori, al fine di garantire agli stessi la permanenza del legame con l’habitat familiare ove sono cresciuti. In realtà, è possibile disporre l’assegnazione della casa familiare anche in caso di figli conviventi maggiorenti, qualora incolpevolmente privi di adeguati autonomi mezzi di sostentamento (cfr. Cass. 06.07.2004 n. 12309; 18.09.2003 n. 13736); diversamente, il Giudice non ne ha facoltà (cfr. Cass. 18.02.2008 n. 3934).

 

L’ordinanza attributiva del diritto a uno dei coniugi di abitare la casa familiare è soggetta, in mancanza di spontaneo adempimento, ad esecuzione coattiva: se il coniuge non assegnatario non abbandona l’immobile spontaneamente, è quindi possibile ricorrere all’Ufficiale Giudiziario, con l’eventuale supporto delle Forze dell’Ordine.

 

Cosa si intende per “casa familiare”

Per “casa familiare” si intende il luogo ove i coniugi vivevano insieme, a prescindere da chi sia il legittimo proprietario dell’immobile. L’abitazione dev’essere stata habitat domestico, ossia il luogo degli affetti, degli interessi e delle consuetudini familiari durante la convivenza, il centro aggregativo dei suoi membri (cfr. Cass. 09.09.2002 n. 13065; 15.12.2000 n. 6706).

Il provvedimento di assegnazione può riguardare questo e soltanto questo immobile: non è possibile ottenere l’assegnazione di un appartamento diverso da quello in cui la famiglia ha vissuto poiché sono esclusi tutti gli altri immobili di cui i coniugi abbiano disponibilità (cfr. Cass. 27.02.2009 n. 4816).

Nel caso in cui la “casa familiare” non fosse di proprietà dei coniugi, ma semplicemente in “affitto” [tecnicamente, concessa in locazione], il provvedimento di assegnazione della casa familiare determina una cessione ex lege del relativo contratto di locazione a favore del coniuge assegnatario e l’estinzione del rapporto in capo all’originario conduttore. Tale estinzione si verifica anche nell’ipotesi in cui entrambe le parti abbiano sottoscritto il contratto di locazione (cfr. Cass. 30.04.2009 n. 10104). Il coniuge cui viene assegnata la casa familiare, in questo modo, diviene l’unico “inquilino” dell’immobile, con l’esclusiva responsabilità di tutti i doveri che derivano da un contratto di locazione.

 

Opponibilità ai terzi

L’assegnazione della casa familiare è sicuramente uno strumento che può tornare utile ai coniugi in regime di comunione dei beni in sede di separazione, se entrambi o soltanto uno di essi versa in un momento di difficoltà economica e, di conseguenza, si rischia il pignoramento della casa. Per tutelarsi ed impedire di perdere l’immobile almeno fino al raggiungimento dell’indipendenza economica dei figli conviventi, è sufficiente trascrivere il provvedimento di assegnazione della casa familiare nei Registri immobiliari. In questo modo, qualsiasi soggetto terzo che intendesse acquistare l’immobile, eventualmente messo all’asta, non potrà tecnicamente abitarci, perché il suo utilizzo è garantito al nucleo familiare ivi stabilmente inserito.

Il provvedimento di assegnazione della casa familiare, anche se non trascritto, è comunque opponibile al terzo che ha acquistato successivamente diritti sull’immobile, ma per un tempo limitato: nove anni.

Se il terzo, invece, ha acquistato tali diritti in data antecedente, il provvedimento di assegnazione della casa familiare non è opponibile.

Laddove l’immobile sia infine stato dato in comodato ai coniugi, il proprietario non può chiederne la restituzione, a meno che i figli smettano di risiedervi. L’onere di dimostrare che il bene era destinato “a casa familiare” grava sul coniuge assegnatario che intende opporsi alla richiesta di rilascio (Cassazione, sentenza del 20 aprile 2016, n. 7776).

 

Limitazione dell’assegnazione in caso di “immobile comodamente divisibile”

Il giudice può limitare l’assegnazione a quella parte dell’immobile realmente occorrente ai bisogni delle persone conviventi, tenuto conto delle esigenze di vita dell’altro coniuge e della possibilità di godimento separato, anche attraverso modesti accorgimenti o piccoli lavori (cfr. Cass. 17.12.2009 n. 26586).  Devono, però, sussistere determinati presupposti:

  1. l’appartamento deve essere suddivisibile, con modici interventi, in due autonome unità abitative, ossia in due abitazioni che abbiano accessi del tutto indipendenti e fruiscano di utenze completamente separate;
  2. le parti devono versare in precarie condizioni economiche;
  3. non deve sussistere tra le parti un elevato livello di conflittualità.

 

La domanda di divisione della comunione relativa alla casa coniugale assegnata ad uno dei coniugi è pienamente ammissibile, ma il diritto di abitazione non si estingue per effetto del trasferimento del bene sul quale è costituito.

 

L’assegnazione della casa coniugale disposta sulla base della concorde richiesta dei coniugi in sede di giudizio di separazione, in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, non è opponibile né ai terzi acquirenti né al coniuge non assegnatario che voglia proporre domanda di divisione del bene immobile di cui è comproprietario (cfr. Cass. 25.02.2011 n. 4735).

 

Eventuale revoca del provvedimento di assegnazione della casa familiare

Quando l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio, si delineano differenti orientamenti giurisprudenziali:

  • da un lato, si ritiene che ciò di per sé sia sufficiente a fondare la revoca dell’assegnazione della casa familiare perché insorge l’evoluzione e la trasformazione del nucleo familiare originario, con conseguente esclusione dell’applicazione dell’istituto dell’assegnazione della casa familiare. Non costituisce casa coniugale, infatti, il bene immobile nel quale si è svolta, per un certo periodo, la vita familiare, ma è il centro di aggregazione durante la convivenza, ossia il luogo degli affetti, degli interessi e delle consuetudini di vita dei membri, composto dall’assegnatario e dai figli (casa familiare in senso soggettivo) (cfr. Cass. 17.12.2007 n. 26574). L’ingresso di una terza figura, secondo questo orientamento, fa venire meno l’habitat familiare;
  • dall’altro lato, in nome del principio cardine del “superiore interesse del minore” si ritiene possa essere mantenuta l’assegnazione al coniuge affidatario della casa familiare nonostante questi abbia intrapreso una nuova convivenza. In nome del primario interesse di salvaguardia della prole, il giudice deve valutarne concretamente lo sviluppo psicofisico e il tempo ivi trascorso, con un’attenta analisi delle circostanze del caso concreto (cfr. Cass. 24.06.2013 n. 15753).