Avvocato Brescia | Tra legislatura emergenziale e diritti costituzionali: il blocco delle procedure espropriative
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blocco delle procedure espropriative - avvocato - 2021

Tra legislatura emergenziale e diritti costituzionali: il blocco delle procedure espropriative

La dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria ha legittimato il Governo ad adottare misure che limitano il godimento delle libertà individuali, economiche, della proprietà privata. La sospensione di diritti individuali e di natura economica (incluso il blocco delle procedure espropriative) trae origine e legittimazione dall’art. 32 della Costituzione italiana (il diritto alla salute). Tale diritto non è soltanto individuale ma patrimonio della collettività. Deve essere tutelato anche mediante limitazione di diritti che risultano inconciliabili, almeno temporaneamente.

Per motivi di sanità, sicurezza e incolumità pubblica – considerando che il diritto alla salute è fondamentale – è legittimo comprimere (parzialmente o totalmente) le altre libertà. Di fronte allo stato di ‘pandemia’, le ordinanze di protezione civile emesse a livello nazionale possono essere adottate “in deroga ad ogni disposizione vigente” seppure nei limiti e con le modalità indicate nella deliberazione dello stato di emergenza e sempre nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme europee.

Dichiarando lo stato emergenziale per pandemia, il Governo ha avuto il potere di autolegittimarsi adottando misure di carattere straordinario.

Ciò che fa discutere e risulta più complesso è individuare la portata e l’eventuale superamento di questo potere: l’unico vincolo alla compressione della libertà individuale e di iniziativa economica (art. 41, comma 1 della Costituzione) sembra essere quello di carattere temporale.

Secondo il Codice della protezione civile, la durata dello stato di emergenza nazionale non può superare i 12 mesi, prorogabili per non più di altri 12 mesi. Due anni, complessivamente, per qualsiasi diritto sacrificabile a quello fondamentale della salute, individuale o di natura economica.

In questo focus, concentriamo il nostro interesse sul blocco delle procedure espropriative ovvero la sospensione degli sfratti.

 

Blocco delle procedure espropriative prorogato per inquilini in difficoltà

Il Decreto Milleproroghe (DL 31 dicembre 2020, n. 183 – G.U. n. 323 del 31 dicembre 2020) ha confermato il blocco dell’esecuzione degli sfratti per morosità fino al 30 giugno 2021. Il blocco delle procedure espropriative si riferisce anche ad immobili ad uso non abitativo e prevede marginali eccezioni.

La sospensione è stata, inizialmente, disposta fino al 30 giugno 2020 dal DL 17 marzo 2020, n. 18 (art. 103, c.6), convertito dalla Legge 27/2020. In seguito, è slittata al 30 settembre 2020 (Legge 27/2020) e, di nuovo, al 31 dicembre 2020 (Legge 77/2020).

Il blocco degli sfratti è costituzionale?

In tempi di Covid, la domanda va estesa anche al diritto della libertà di movimento (costantemente limitata dai DPCM) e della libertà economica (compressa per effetto della chiusura imposta delle attività commerciali).

Il Decreto Milleproroghe (art. 13, comma 13) fa slittare la sospensione dell’esecuzione degli sfratti, anche ad uso non abitativo. Si applica esclusivamente nei seguenti casi:

– mancato pagamento del canone alle scadenze contrattuali;

– adozione del decreto di trasferimento di immobili pignorati, abitati dal debitore e dai suoi familiari (art. 586, c.2 del codice di procedura civile).

Restano esclusi dal provvedimento gli sfratti per locazione conclusa, ordinanze (o sentenze) che dispongono la restituzione di immobili occupati a titolo invalido oppure l’ingiunzione di rilasciare l’immobile se non è abitato dal debitore e dai suoi familiari.

L’ulteriore dilazione della sospensione fino al 30 giugno 2021 intende aiutare gli inquilini in difficoltà, impossibilitati a pagare il canone di affitto in piena crisi economica. Non si basa su alcuna valutazione comparativa tra le condizioni economico-finanziarie del locatore e quelle del conduttore. Considera unicamente lo stato di difficoltà finanziaria dell’affittuario inadempiente, non quella del conduttore, ugualmente coinvolto nella crisi economica, che viene così pesantemente penalizzato.

Le norme che comprimono la proprietà privata, l’iniziativa economica e l’esercizio dei diritti all’azione, seppure di natura straordinaria, impattano sulla legittimità costituzionale?

Il diritto di proprietà privata… privata di ogni diritto

La sospensione degli sfratti è stata dilatata di ulteriori 6 mesi (per complessivi 16 mesi dall’inizio dell’emergenza sanitaria, dal 18 marzo 2020 al 30 giugno 2021) con conseguente interdizione della liberazione coercitiva di immobili occupati da inquilini morosi.

Il proprietario dell’immobile viene, di fatto, privato del godimento materiale del bene. Il diritto soggettivo tutelato dall’esecuzione di sfratto viene congelato. Il diritto di proprietà privata viene pesantemente limitato, la libertà di iniziativa economica privata (di cedere a terzi il godimento sull’immobile) azzerata.

Nel merito, è opportuno segnalare:

  1. la Legge 24 marzo 2001, n. 89 (art.2, c.2-bis), in base alla quale la procedura espropriativa protratta per oltre 3 anni è ritenuta irragionevole;
  2. la sentenza n. 455 del 16 ottobre 1990 emessa dalla Corte Costituzionale, la quale, in materia di compressione dei diritti soggettivi costituzionalmente riconosciuti alla persona (art. 2 della Costituzione), impone il rispetto dei limiti rappresentati dai criteri di proporzionalità. ragionevolezza ed efficacia.

Il Decreto Cura Italia e successive disposizioni legislative rispettano questi criteri?

Analizzando il contenuto della normativa emergenziale, emerge come il prolungato blocco degli sfratti sia stato esteso a situazioni molto diverse tra loro (dalle morosità pregresse all’inadempienza volontaria e colpevole), nonché applicato sia ad immobili residenziali sia ad immobili commerciali. Non pare ordunque del tutto rispettato il principio di ragionevolezza: ad esempio, se è pur vero che il godimento di un immobile adibito ad attività commerciale è stato limitato dalla normativa emergenziale, parimenti non lo è stato per il godimento di un immobile residenziale.

Tantomeno pare proporzionato: si applica su tutti i provvedimenti, anche inadempimenti precedenti all’emergenza sanitaria o su immobili indebitamente occupati, sfratti per finita locazione. Nemmeno efficace: non è stato previsto alcun provvedimento che consenta ai Comuni di reperire alloggi per inquilini in difficoltà ovvero alcun bonus che permetta di provvedere al pagamento dei canoni.

 

Nessun indennizzo dallo Stato + Imu e spese condominiali da pagare

L’onere dei diritti sociali sacrificati non deve essere ad esclusivo carico del singolo contribuente ma della collettività.

L’intervento legislativo d’urgenza che dilata il blocco degli sfratti e i Decreti Ristori non riconoscono alcun indennizzo ai proprietari degli immobili, i quali non ricevono i soldi dell’affitto da mesi e che, oltretutto, dovranno pagare l’Imu e le spese condominiali.

Se, da una parte, il governo investe molto per il rilancio dell’edilizia (superbonus 110% per la riqualificazione energetica degli edifici), dall’altra, congela le locazioni immobiliari. Il proprietario di un immobile, oggi, prima di concederlo in locazione ha bisogno di maggiori garanzie e tranquillità, visto che non viene tutelato.

Durante (e probabilmente anche nel periodo immediatamente successivo) l’emergenza sanitaria, è presumibile aspettarsi che i proprietari opteranno per contratti di breve durata – onde proteggersi il più possibile dal rischio di inadempienza – ovverosia addirittura preferiranno tenere la casa vuota o metterla in vendita.

 

Le decisioni della Corte Costituzionale in tema di sfratti

Nel corso degli anni, la Corte Costituzionale in tema di sfratti ha emesso 3 importanti decisioni imponendo al legislatore il rispetto di specifici criteri e limiti che pare non siano stati considerati dagli attuali decreti d’urgenza.

La sentenza 310/2003 stabilisce principi generali, al di là del singolo caso preso in esame. La sospensione dello sfratto viene considerata un intervento eccezionale, applicabile per un periodo transitorio e limitato in base ad un provvedimento giurisdizionale legittimamente ottenuto. La procedura espropriativa non può essere paralizzata in modo indefinito attraverso una serie di proroghe oltre un ragionevole limite di tollerabilità. Non si negano le esigenze degli inquilini in difficoltà e disagio (categorie protette) per i quali bisogna ricorrere ad iniziative pubbliche o ammortizzatori sociali. Il diritto alla riconsegna dell’immobile, però, non può essere limitato indefinitamente e senza alcuna valutazione comparativa, trasferendo l’onere ad esclusivo carico del privato locatore. Anche il locatore potrebbe trovarsi in una situazione di difficoltà e disagio pari o peggiore a quella dell’affittuario.

Questo concetto spiegato nella sentenza 310/2003 è stato, successivamente, confermato dalla sentenza 155/2004 che, pur non ammettendo continui rinvii del termine di blocco degli sfratti, riconosce un periodo di tempo più ampio per attuare iniziative sociali a favore di conduttori particolarmente fragili, che non riescono ad ottenere a proprie spese un alloggio.

Il concetto è stato poi ribadito dalla sentenza n° 62/2014. 

Limitazioni imposte dal governo giuste o sbagliate?

I suddetti interventi della Corte Costituzionale hanno inciso su normative a tutela di persone fragili (disabili, anziani destinati ad un ricovero presso strutture socio-sanitarie) mobilitando gli enti pubblici ed i Comuni a reperire una sistemazione alternativa a questa categoria di inquilini. Con i decreti d’urgenza anti-Covid non è stata valutata alcuna discriminazione in riferimento alle cause di mancato pagamento del canone o alle condizioni di ‘fragilità’ delle parti.

Il Governo gode di una certa libertà normativa: l’art. 120 della Costituzione stabilisce che il Governo può sostituirsi a Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni in caso di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica.

Oltretutto, l’attuale Esecutivo è ben consapevole della normativa sovranazionale che coinvolge anche l’Italia: la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) ed il Patto per i Diritti Civili e Politici ONU. Cosa prevedono?

L’art. 15 CEDU prevede che in caso di guerra o altro pericolo pubblico, ogni altra parte contraente può adottare misure in deroga agli obblighi previsti dalla Convenzione, secondo le necessità, a condizione che tali misure non entrino in conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale.

L’art. 4 del Patto dei diritti civili e politici ONU stabilisce che, in caso di pericolo pubblico o eccezionale, gli Stati che fanno parte del Patto possono adottare misure in deroga agli obblighi imposti dal Patto stesso, limitatamente alle necessità, purché tali misure non siano incompatibili con altri obblighi imposti dal diritto internazionale e non comportino una discriminazione basata soltanto su razza, colore, sesso, origine sociale, religione o lingua.

Concludiamo con la domanda del focus che resta sospesa: le limitazioni imposte dal governo sono giuste o sbagliate? Legittime o illegittime?

Si tratta di un quesito di difficile – se non improbabile – risoluzione: lo sbilanciamento in favore di un diritto costituzionale a discapito di un altro è spesso rischioso e, parimenti, in ogni caso sussiste il rischio di trascurare le aspettative di alcuni a discapito di altri. Non si ha certo la presunzione, in questa sede, di fornire risposte certe, bensì di focalizzare l’attenzione su alcuni centrali e fondamentali diritti, sicché da spingere il lettore a porsi domande e coinvolgerlo in un dibattito che lo riguarda direttamente.