Assegno divorzile: non aumenta automaticamente se vi è revoca dell’assegnazione
Secondo la recente ordinanza Cass. n. 9500/2023, la revoca dell’assegnazione della casa familiare al coniuge beneficiario dell’assegno divorzile non determina automaticamente l’aumento dell’assegno.
Prima di occuparci di ricostruire quali siano stati i fatti e le motivazioni dei giudici della Suprema Corte, rammentiamo come l’assegnazione della casa familiare in caso di divorzio o separazione sia prevista a tutela dell’interesse prioritario dei figli minorenni o dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti e conviventi con uno dei genitori.
In particolare, l’assegnazione si traduce nell’interesse di questi a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, conservando così le abitudini di vita e le relazioni esistenti prima dell’evento.
Per l’ordinanza ora in commento, la revoca dell’assegnazione della casa familiare al coniuge beneficiario dell’assegno non giustifica un aumento automatico e immediato dell’assegno, considerato che – come abbiamo già anticipato – si tratta di un provvedimento che ha come esclusivo presupposto l’accertamento del venire meno dell’interesse dei figli alla conservazione dell’habitat domestico, in conseguenza del raggiungimento della maggiore età e dell’autosufficienza economica o alla cessazione del rapporto di convivenza con il genitore assegnatario.
I fatti
Il Tribunale di Velletri, nel procedimento per la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio, aveva determinato in 350 euro mensili l’importo dell’assegno divorzile dovuto dal coniuge all’ex moglie, riducendo così l’importo dell’assegno concordato in sede di separazione in 500 euro.
Il gravame della donna, che domandava l’incremento dell’assegno divorzile nella misura di 1.100 euro, era stato in parte accolto dalla Corte d’appello di Roma con la successiva sentenza del 9 luglio 2021, la quale aveva rideterminato l’assegno in 550 euro mensili tenendo considerazione dell’importo riconosciutole in sede di separazione e del suo adeguamento al costo della vita.
Contro tale pronuncia la donna ha però proposto ricorso per Cassazione, affidandosi ad un solo motivo di ricorso. Il coniuge non ha invece svolto difese.
I motivi della decisione
Con un unico motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della l. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, imputando alla sentenza gravata di avere “incongruamente determinato la misura dell’assegno divorzile, trascurando di considerare la perdita – a seguito della raggiunta indipendenza economica della figlia V. – del diritto alla assegnazione della casa coniugale”.
A suo avviso, infatti, atteso che la casa coniugale rappresenta una utilità suscettibile di valutazione economica, il coniuge che perde l’assegnazione della stessa avrebbe il diritto di vedere riparametrato in aumento il versamento mensile di cui è beneficiario.
Per la Corte di Cassazione, però, il motivo è infondato. I giudici della Suprema Corte sottolineano infatti come la Corte territoriale avesse deciso in conformità con il principio secondo cui la revoca dell’assegnazione della casa familiare al coniuge beneficiario dell’assegno divorzile non giustifica l’automatico aumento di tale assegno. Si tratta infatti di un provvedimento che ha “come esclusivo presupposto l’accertamento del venir meno dell’interesse dei figli alla conservazione dell'”habitat” domestico, in conseguenza del raggiungimento della maggiore età e del conseguimento dell’autosufficienza economica, o della cessazione del rapporto di convivenza con il genitore assegnatario” (così anche la Cass. n. 20452/2022).
Quindi, in relazione alla doglianza secondo cui la sentenza impugnata avrebbe erroneamente determinato l’assegno divorzile in misura quasi corrispondente all’assegno di mantenimento conseguente al regime di separazione, i giudici condividono come non sia chiaro in che modo la ricorrente possa dirsi pregiudicata da una quantificazione dell’assegno divorzile operata, in tesi, secondo i criteri relativi all’assegno di separazione che postulano la permanenza del vincolo coniugale, diversamente dall’assegno divorzile che ne postula la definitiva cessazione.
Per questa motivazione i giudici procedono a rigettare il ricorso.