Avvocato Brescia | Violazione di proprietà se il coniuge entra nella sua casa se è assegnata all’ex
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Violazione di proprietà se il coniuge entra nella sua casa se è assegnata all’ex

Violazione di proprietà se il coniuge entra nella sua casa se è assegnata all’ex

Stando alla recente sentenza n. 11242/2023 della Corte di Cassazione, l’ex marito che entra nella casa assegnata alla moglie dopo la separazione rischia una condanna per violazione di domicilio, anche se risulta essere proprietario o comproprietario dell’immobile.

Il caso

Il caso si basa sull’impugnazione della sentenza pronunciata il 3 dicembre 2021 dalla Corte di appello di Messina, che ha confermato la decisione del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, la quale aveva condannato l’imputato per una serie di reati ai danni della moglie, in fase di separazione.

Ai fini del nostro odierno commento rileva principalmente il primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 158 c.c. In particolare, il 18 agosto 2015 l’imputato aveva avuto accesso nella casa di proprietà, in quel periodo abitata insieme al coniuge. La Corte di appello era partita dal presupposto che, a quella data, già fosse stato raggiunto un accordo di separazione consensuale tra i due coniugi, circostanza che però per il ricorrente non era corrispondente al vero, dal momento che quello del 9 giugno era solo un “primitivo accordo” mai omologato.

Ne conseguirebbe, secondo il ricorso, che imputato e persona offesa, alla data del 17 agosto 2015, non erano ancora autorizzati a vivere separatamente, per cui nessuna violazione di domicilio poteva essere ascritta al ricorrente.

La Corte di merito, per i legali del ricorrente, aveva violato il disposto di cui all’articolo 158 c.c., che prevede che la separazione non ha effetto per il solo consenso dei coniugi, senza l’omologazione del giudice.

Tale motivo di ricorso è però infondato e tale conclusione trova la sua ragion d’essere soprattutto nella circostanza che il ricorrente attribuisce una rilevanza dirimente – per escludere che vi sia stata violazione di domicilio – alla valenza autorizzatoria a vivere separati dell’accordo intervenuto tra i coniugi il 9 giugno 2015, mentre non sarebbe questa la prospettiva attraverso la quale la questione va riguardata.

Piuttosto, si legge nelle motivazioni della sentenza, bisogna attribuire rilievo al dato oggettivo, debitamente riportato in sentenza, che le parti – da circa due mesi – si erano comunque accordate nel senso di vivere separate e nel senso che l’appartamento fosse utilizzato solo dalla moglie e dai figli minori e che, addirittura, la donna potesse sostituire la serratura.

Questo aveva creato una situazione di fatto che, a prescindere dall’omologazione da parte del Tribunale civile dell’accorso intercorso, vedeva la persona offesa titolare esclusiva del diritto di abitare quell’appartamento, con lo ius excludendi alios che si connette alle prerogative di chi vanti un rapporto di utilizzo qualificato con un’abitazione.

Tale orientamento è ben presente nella stessa Corte che ha più volte valorizzato la situazione di fatto creatasi dopo la fine di una relazione e l’allontanamento di uno dei due componenti della coppia dall’abitazione per reputare sussistente, in capo all’altro, il diritto esclusivo di decidere chi potesse avere accesso al luogo che era stato la comune dimora.

Per la Suprema Corte occorre pertanto privilegiare l’effettivo rapporto tra il soggetto e il luogo nel quale si esplica la sua personalità, dando rilievo ad una circostanza di fatto, nella specie la cessazione della convivenza more uxorio, che aveva sancito la fine del diritto dell’imputato di accedere a proprio piacimento a quella che non era più la sua abitazione.

In altre parole, nel caso in cui, all’esito di una separazione di fatto, uno dei coniugi abbia abbandonato l’abitazione familiare trasferendosi altrove, l’unico titolare del diritto di esclusione di terzi va individuato nel coniuge rimasto nella abitazione familiare, anche se quello trasferito sia proprietario o comproprietario dell’immobile.

Le motivazioni della Corte

Per la Corte, dunque, l’avvenuta separazione tra i due coniugi e l’abbandono dell’abitazione familiare da parte del marito, “ancora prima dell’adozione da parte del giudice civile del provvedimento con cui la casa familiare veniva assegnata alla moglie, ha fatto venire meno il rapporto di convivenza e, con esso, la titolarità dello “ius prohibendi” e del correlativo “ius admittendi” in capo al figlio dell’imputata, non più in grado, dunque, proprio perché l’abitazione in questione, dal momento in cui egli ha deciso di vivere altrove, non può più considerarsi un luogo dove esplica liberamente la sua personalità, di proibirne o di consentirne l’accesso o la permanenza a terzi estranei e ciò a prescindere dalla circostanza che, conformemente alla sua qualità civilistica di comproprietario, l’immobile continui a far parte, “pro quota”, del suo patrimonio“.

Questo ragionamento conduce dunque a ritenere che, a prescindere dall’adozione di provvedimenti giudiziari, ciò che rileva è l’effettivo allontanamento dalla casa coniugale del marito, con stabilizzazione di una situazione di fatto in cui la donna, già abitante in quel luogo, aveva instaurato una relazione esclusiva con quest’ultimo, facendone il proprio domicilio da separata, rispetto al quale l’intrusione dell’ex coabitante e di soggetti da quest’ultimo autorizzati costituisce una violazione del domicilio.