Avvocato Brescia | La stabile convivenza di fatto configura l’obbligo dell’assegno di divorzio
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La stabile convivenza di fatto configura l’obbligo dell’assegno di divorzio

La stabile convivenza di fatto configura l’obbligo dell’assegno di divorzio

Nel caso in cui sia verificabile una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole, quest’ultimo conserva il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio in funzione esclusivamente compensativa.

A sostenerlo è la recente Cassazione civile, sez. VI, ordinanza 16 novembre 2022, n. 33665, secondo cui, dunque, in tema di assegno divorzile l’instaurazione della stabile convivenza di fatto non pregiudica il conseguimento dell’assegno divorzile se l’ex coniuge è privo di mezzi adeguati ed è impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi.

In particolare, la formulazione di tale principio ha origine nel procedimento instaurato dinanzi al tribunale di Catania che, accogliendo il ricorso, pronunciava lo scioglimento del matrimonio e respingeva la domanda riconvenzionale dell’ex moglie – domanda avente ad oggetto il riconoscimento dell’assegno divorzile e di una quota del trattamento di fine rapporto (TFR) -esponendo come dall’istruttoria svolta fosse emerso che la donna avesse intrapreso una stabile convivenza con un altro uomo, protrattasi per un anno e mezzo, determinando così il venire meno dei presupposti dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, e precisando come ne conseguisse che il relativo diritto non fosse in stato di quiescenza, ma rimanesse definitivamente escluso.

Dinanzi a tale pronuncia, all’ex moglie non rimaneva altro da fare che ricorrere in Cassazione, denunciando nel motivo del ricorso la violazione della l. 898/1970, articolo 5. Si ricorda in tal proposito che l’art. 5 della Legge sul divorzio, dal comma 6, prevede che:

Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.

La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell’assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Il tribunale può, in caso di palese iniquità, escludere la previsione con motivata decisione.

(…)

I coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria.

L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze.

Ebbene, per la Corte di Cassazione tale censura è fondata.

Tra vecchi e nuovi orientamenti

I giudici della Suprema Corte rammentano infatti che in tema di assegno divorzile la Cassazione ha da tempo ritenuto superato il vecchio orientamento secondo cui l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia (anche se di fatto), rescindendo così ogni connessione con il tenore del modello di vita che è caratterizzante la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire direttamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge.

Per gli Ermellini, dunque, la Corte d’Appello avrebbe commesso l’errore di sposare questo orientamento superato in giurisprudenza, soprattutto da quando la pronuncia delle Sezioni Unite ha stabilito che se viene instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole, questi – se privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi – conserva il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa.

Per questo scopo, prosegue la pronuncia, il richiedente ha l’onere di fornire una prova del contributo offerto alla comunione familiare della rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, e del contributo fornito per realizzare il patrimonio personale e familiare dell’ex coniuge.

Nella fattispecie di cui si sono occupati i giudici della Suprema Corte, invece, i giudici di seconde cure avrebbero escluso l’assegno divorzile perché la ricorrente avrebbe formato una famiglia di fatto, senza alcuna altra valutazione sulla disponibilità da parte di quest’ultima di mezzi adeguati, in relazione alla valenza compensativa che deve essere attribuita all’assegno divorzile.

Infine, la Corte di Cassazione ha precisato come i giudici di secondo grado non abbiano nemmeno tenuto in considerazione il breve periodo della convivenza della ricorrenza con una terza persona. Cosa che, si legge nelle conclusioni delle motivazioni della Corte, riterrebbe poter escludere la formazione di una stabile unione more uxorio, alla luce dell’affermato principio delle Sezioni Unite.