Il mancato riconoscimento di figli nati da coppie dello stesso sesso
Negli ultimi anni, in un contesto di sostanziale silenzio da parte del legislatore, il tema del riconoscimento dei figli nati da genitori dello stesso sesso ha alimentato non solamente un vivace dibattito dottrinale, quanto anche una produzione giurisprudenziale varia e abbondante.
L’ultima pronuncia di maggiore rilievo, in ordine di tempo, è quella della Corte di Cassazione, Sez. I, con sentenza n. 6383 del 25 febbraio 2022, in cui gli Ermellini hanno confermato l’esistenza di quei limiti normativi che non permettono la registrazione in Italia di genitorialità same-sex.
Il caso
La vicenda di cui si è occupata la Suprema Corte riguarda una coppia di due donne, una partoriente e una donatrice dell’ovulo fecondato da donatore anonimo. Alla nascita della bambina, l’ufficiale di stato civile si è rifiutato di indicare nell’atto entrambe le donne, registrando solo la filiazione da parte della partoriente.
La coppia procede così al ricorso, accolto dal Tribunale ma riformato dalla Corte di Appello, che conferma il legittimo operato dell’ufficiale di stato civile. Le donne impugnano dunque il ricorso in Cassazione contestando che non si è tenuto conto della sussistenza del rapporto genetico con la donna che ha donato l’ovulo e che non sono state rispettate le disposizioni interne e le Convenzioni a tutela dei diritti del fanciullo.
La Cassazione ha però rigettato tutti i motivi del ricorso, confermando i propri precedenti orientamenti e sottolineando che, trattandosi di una bambina nata in Italia da donna di cittadinanza italiana, la stessa è completamente soggetta alle disposizioni del nostro ordinamento.
I giudici ricordano poi che il rapporto di filiazione sopra descritto non può trovare spazio nel nostro ordinamento poiché non è consentita “la realizzazione di forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico, con i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto”. Neppure la sussistenza di un rapporto genetico con la donna che ha donato l’ovulo può mutare la sostanza dell’evento o incidere nella formazione dell’atto di nascita, valutato che è una sola la persona che può essere menzionata come madre nell’atto di nascita
Le valutazioni della Corte
Sintetizzato quanto sopra, cerchiamo di comprendere quali siano state le valutazioni effettuate dai giudici della Suprema Corte e quali siano gli spunti elaborati e utili per chiarire la necessità di un pronto intervento da parte del legislatore, a colmare i gap normativi presenti.
Di fatti, dopo aver ricordato che la legge n. 40/2004 permette l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita per risolvere cause di infertilità patologica, a cui non è possibile equiparare le evidenti condizioni fisiologiche di infertilità della coppia omosessuale, la Corte di Cassazione afferma come la questione di legittimità della legge. n. 40/2004, sia stata affrontata dalla Corte Costituzionale con le pronunce nn. 32 e 33 del 2021, che hanno dichiarato inammissibile la stessa questione, riguardante scelte discrezionali del legislatore.
Ecco perché, secondo la Cassazione, i limiti imposti dalla legge n. 40/2004 non sono in contrasto con principi e valori costituzionali in quanto, altrimenti, la Corte Costituzionale avrebbe assunto una decisione ben diversa.
Confermato l’orientamento prevalente
In questa analisi si noti altresì come la sentenza ora in commento sia stata coerente con l’orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, che non consente la filiazione da genitori dello stesso sesso, né la registrazione del relativo atto di nascita da parte dei medesimi genitori.
Tale orientamento non solo è stato confermato con diverse composizioni del Collegio nel corso degli anni, bensì è stato anche accompagnato dall’espressa indicazione di riconoscere come divieto la filiazione a genitori dello stesso sesso, che – come tale – non può essere aggirato, neanche dimostrando la sussistenza di un legame genetico con il neonato.
La necessità di un intervento del legislatore
Le ultime e già rammentate sentenze della Corte Costituzionale in materia contengono poi un chiaro richiamo al legislatore, cui si domanda un intervento normativo sul tema, anche al fine di arginare posizioni spesso contrastanti da parte dei giudici.
Per esempio, con decreto del 28/4/2021 il Tribunale di Reggio Emilia, su ricorso del Procuratore della Repubblica, aveva annullato il riconoscimento di figlio nato fuori dal matrimonio, da parte della seconda madre unita civilmente con la madre partoriente, ricevuto invece dall’ufficiale dello stato civile e rammentando come “la sentenza n. 32 del 2021, pur riconoscendo che i nati a seguito di PMA eterologa praticata da due donne versano in una condizione deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati solo in ragione dell’orientamento sessuale delle persone che hanno realizzato il progetto creativo, ha ritenuto di non poter porre rimedio al riscontrato vuoto di tutela del minore, essendo compito del legislatore, nell’esercizio della sua facoltà discrezionale, trovare … un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti nel rispetto della dignità della persona umana…”.
Diverso è stato l’approccio della Corte di Appello di Cagliari con decreto del 29 aprile 2021, a conferma del precedente decreto del Tribunale di Cagliari e respingendo così il ricorso del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Cagliari, tramite l’Avvocatura dello Stato, con cui era stato impugnato l’atto di nascita che riconosceva la filiazione da parte di due madri. La decisione della Corte di Appello sosteneva la necessità “di una tutela immediata dell’interesse preminente del minore alla bigenitorialità, a vedersi cresciuto da entrambe le persone, a prescindere dal sesso, che ne hanno voluto la nascita e che si sono assunte nei suoi confronti le relative responsabilità”.
Insomma, con la sua sentenza n. 6383/2022 la Corte di Cassazione non solo conferma l’orientamento espresso anche sui limiti in materia di filiazione da genitori dello stesso sesso, ma richiama espressamente i giudici a non sbilanciarsi in interpretazioni che possono essere in contrasto con la posizione della Corte Costituzionale e che non sono dovute nemmeno in una condizione di vuoto normativo.