Avvocato Brescia | Eredità giacente: caratteristiche e termini temporali
Cos'è l'eredità giacente, per quanto tempo può protrarsi e cosa può fare il portatore di un interesse specifico per spingere il chiamato all'eredità a pronunciarsi sull'accettazione o sulla rinuncia.
eredità giacente
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L’eredità giacente

L’eredità giacente

Il chiamato all’eredità ha 10 anni di tempo per scegliere se accettare l’eredita, o rinunciarvi. Ma cosa accade in questo frangente temporale? E come può colui che è portatore di un interesse specifico sollecitare il chiamato all’eredità ad esprimersi in un senso o nell’altro in tempi rapidi?

L’eredità giacente nel Codice civile

In primo luogo, ricordiamo come si parli di eredità e eredità giacente in modo indiretto in diversi spunti del Codice civile, a cominciare dagli articoli 460, 470 e ss. Risulta tuttavia di particolare interesse soffermarsi soprattutto sull’art. 528 c.c., rubricato Nomina del curatore, che ci rammenta come

Quando il chiamato non ha accettato l’eredità e non è nel possesso dei beni ereditari, il tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza delle persone interessate, o anche d’ufficio, nomina un curatore dell’eredità.

Il decreto di nomina del curatore, a cura del cancelliere, è pubblicato per estratto nel foglio degli annunzi legali della provincia e iscritto nel registro delle successioni.

Ma perché è importante questa norma? Non ci resta che procedere per gradi nell’analisi del quadro normativo.

Cos’è l’eredità giacente

Si ha eredità giacente nel periodo di tempo che trascorre tra l’apertura della successione e l’accettazione dell’eredità, se ricorrono tre presupposti pacifici tra dottrina e giurisprudenza, quali:

  • la mancata accettazione dell’eredità,
  • il mancato possesso dei beni ereditari,
  • la nomina di un curatore dell’eredità.

Per quanto attiene il primo dei tre requisiti, è di interesse notare che la mancata accettazione dell’eredità deve essere legata alla effettiva possibilità di accettarla: il chiamato all’eredità deve infatti disporre del diritto di accettare, all’esercizio del quale il ruolo del curatore verrà meno, non essendo più costui a doversi attivare per la conservazione e l’amministrazione dell’eredità.

Per quanto riguarda il secondo punto, il presupposto fa esplicito riferimento al fatto che il chiamato non deve essere nel possesso dei beni ereditari, intendendo come tale anche la mera detenzione. Dunque, fra i beni oggetto dell’eredità e il chiamato non deve esservi una relazione concreta e materiale.

Infine, con il terzo punto, si suole ricordare come sia la nomina del curatore a realizzare l’effetto costitutivo dell’eredità giacente. Pertanto, solamente con la partecipazione di questo ultimo presupposto l’eredità diventa, appunto, giacente.

E se non ricorrono tali requisiti?

In questo caso, l’eredità non può essere definita giacente, ma sarà qualificata come “vacante”. È l’ipotesi in cui, ad esempio, non ci siano chiamati all’eredità né per successione legittima né per successione testamentaria. Oppure, che vi siano chiamati all’eredità ma costoro non possano accettare perché il loro diritto di accettazione è prescritto, decaduto o rinunciato.

Nell’ipotesi in cui non vi siano più soggetti chiamati all’eredità, la successione continuerà con l’istituzione dello Stato come erede.

Come si chiude l’eredità giacente?

A questo punto ci si può ben domandare quando possa chiudersi l’eredità giacente, visto e considerato che, se nessuno dei chiamati all’eredità accetta, la situazione potrebbe potenzialmente protrarsi a lungo ma… non certo all’infinito.

L’eredità giacente si chiude infatti per:

  • accettazione dell’eredità da parte di uno dei chiamati, sia espressa che tacita,
  • prescrizione del diritto di accettare, una volta decorsi 10 anni dall’apertura della successione, con devoluzione dell’eredità allo Stato
  • esaurimento dell’attivo ereditario, considerato che in quel caso non residuerebbero più beni da conservare e amministrare da parte del curatore.

In una di queste ipotesi, il curatore provvede a rendere il conto della sua amministrazione domandando al tribunale la chiusura della procedura e indicandone le motivazioni. Procede infine all’approvazione del rendiconto finale e alla liquidazione del compenso, con rimborso delle spese anticipate.

Diritto di accettazione e termine temporale

Considerato che il termine previsto dal legislatore per rinunciare o accettare l’eredità è pari fino a 10 anni dall’apertura della successione, l’assenza di uno strumento posto a “stimolare” il chiamato all’eredità nelle sue determinazioni comporterebbe un potenziale pregiudizio per il portatore di interesse dinanzi all’eventuale inazione del chiamato.

È proprio per evitare tali situazioni che il legislatore ha introdotto all’art. 481 del Codice civile la Fissazione di un termine per l’accettazione, stabilendo che

Chiunque vi ha interesse può chiedere che l’autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare.

Esaminiamo più in profondità il dispositivo.

In primo luogo, come già anticipato, la norma serve a permettere a chiunque vi abbia interesse di domandare al giudice un termine abbreviato rispetto a quello decennale, entro cui il chiamato all’eredità deve dichiarare se intendere accettare o meno l’eredità. Considerato che se il termine decorre inutilmente senza che il chiamato si sia espresso, tale atteggiamento viene equiparato a una rinuncia tacita all’eredità, ne consegue che ricorrendo a questa azione il portatore di interessi può effettivamente ridurre in modo anche significativo i tempi di attesa.

Rimane dunque da comprendere chi possa essere il “portatore di interesse specifico” che può domandare al tribunale lo stimolo all’actio interrogatoria.

Sebbene non vi sia un perimetro univoco, è lecito immaginare come i più diffusi legittimati a proporre questa azione siano gli ulteriori chiamati all’eredità, intendendo per tali coloro che potrebbero succedere se il primo chiamato all’eredità non accettasse l’eredità, o ancora, in subordine:

  • i legatari,
  • i creditori all’eredità,
  • i creditori personali del primo chiamato,
  • l’esecutore testamentario,
  • il curatore dell’eredità giacente.

Giurisprudenza su eredità giacente e termine di accettazione o rinuncia

Tra le pronunce più significative in materia ricordiamo la Cass. Civ. n. 4849/2012, secondo cui in tema di successioni per causa di morte, il termine fissato dal giudice ex art. 481 c.c. entro cui il chiamato all’eredità deve dichiarare la propria eventuale accettazione, è un termine di decadenza. Si tratta infatti di un termine finalizzato a far cessare lo stato di incertezza che contraddistingue l’eredità giacente fino all’accettazione del chiamato: pertanto, trascorso questo termine, in assenza di dichiarazione, deriva la perdita del diritto di accettare, rimanendo altresì preclusa ogni proroga.

Risulta inoltre pacifico anche l’orientamento assunto con la più remota sentenza Cass. Civ. n. 3828/1985, laddove i giudici di legittimità ricordarono come la fissazione di un termine per l’accettazione o la rinuncia all’eredità fosse possibile anche quando il chiamato è incapace.