Avvocato Brescia | Riforma Cartabia, cosa cambia per la prescrizione del reato e l’improcedibilità
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Riforma Cartabia, cosa cambia per la prescrizione del reato e l’improcedibilità

Lo scorso 24 settembre è stato approvato in Senato il disegno di legge n. 2353 che contiene la Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti penali.  Un testo particolarmente ricco di novità, in parte immediatamente applicabili e in parte in grado di influenzare i decreti legislativi che saranno emanato entro un anno dalla sua entrata in vigore.

In questo approfondimento cercheremo di concentrarci su due delle disposizioni in immediata applicazione: i cambiamenti sulla prescrizione del reato e sull’improcedibilità.

La prescrizione del reato

Per capire che cosa cambia sulla prescrizione del reato, può essere utile rammentare quale fosse la disciplina previgente, frutto della riforma Bonafede entrata in vigore il 1 gennaio 2020. La riforma, con la c.d. legge Spazzacorrotti, ha fondamentalmente abolito la prescrizione dopo il primo grado di giudizio.

In altre parole, dopo la prima sentenza di condanna o di assoluzione, il processo non ha alcun termine predeterminato, con la conseguenza che – essendo la durata di un procedimento penale nel nostro Paese mediamente oscillante tra i 1.500 e i 2.500 giorni – il rischio di rimanere imprigionati nelle maglie processuali per tanti anni era sempre presente.

Partendo da tale spunto, la riforma Cartabia ha posto l’obiettivo di ridurre del 25% la durata dei processi penali. Ma in che modo?

La Riforma Cartabia sulla prescrizione

La riforma non interviene sui tempi necessari a prescrivere e, rispetto alla riforma Bonafede, non cambia nemmeno la decorrenza del termine.

A cambiare sono, semmai, le cause di sospensione che, peraltro, possono spesso incidere in maniera più significativa nel tentativo di allungare i termini processuali.

La sospensione determina infatti un temporaneo congelamento del termine di prescrizione, che smette di decorrere nel momento in cui si verificano determinati fatti giuridici e, intuibilmente, riprende a correre nel momento in cui tali fatti cessano.

Con la riforma Bonafede, come abbiamo già anticipato, dopo la sentenza di primo grado (condanna o assoluzione), la prescrizione rimaneva sospesa fino al passaggio in giudicato del provvedimento che definiva il processo. In altri termini, la prescrizione cessava di correre in modo definitivo con la pronuncia del decreto di condanna o con l’assoluzione in primo grado.

Con la riforma Cartabia, invece, viene abrogata la disposizione della riforma Bonafede con cui la sentenza di primo grado sospendeva la prescrizione sino alla conclusione del processo.

In aggiunta a ciò, il provvedimento crea una nuova categoria giuridica, la c.d. cessazione della prescrizione, che realizza lo stesso effetto pratico: dopo la sentenza di primo grado (e dunque non anche il decreto penale di condanna che, pertanto, ritorna ad essere una sola causa di interruzione), sia essa di condanna o di assoluzione, il corso della prescrizione cessa definitivamente, abbandonando l’approccio di una sospensione sine die.

La riforma non interviene, infine, sulla disciplina della interruzione, ovvero su quei fatti che “azzerano” la decorrenza dei termini di prescrizioni, riavvolgendo il nastro a zero. Rimangono altresì invariati i limiti finali agli aumenti per l’interruzione, che – per esempio – per i soggetti incensurati sono pari a un quarto del tempo necessario a prescrivere.

L’improcedibilità

L’improcedibilità dopo la riforma Cartabia ha subito una interessante innovazione attraverso l’introduzione, nel nostro ordinamento, di una nuova causa di improcedibilità nell’art. 344-bis del Codice di procedura penale, allo scopo di evitare il rischio che, una volta intervenuta la sentenza di primo grado e – dunque – cessato il corso della prescrizione, l’imputato possa rimanere a lungo intrappolato nei vari gradi successivi.

A tal fine, secondo la nuova disposizione, i giudizi di impugnazione (Appello e Cassazione) devono concludersi entro tempi prestabiliti, pena l’improcedibilità dell’azione penale e, in sostanza, la chiusura del processo.

I tempi stabiliti dalla riforma Cartabia sono pari a due anni che decorrono dal novantesimo giorno successivo alla scadenza dei termini di deposito della sentenza nel grado precedente per il giudizio di appello, e a un anno – con identica decorrenza – per il giudizio in Cassazione.

Si tenga altresì conto che l’improcedibilità rimane rinunciabile da parte dell’imputato, che può volontariamente scegliere di farsi giudicare in ogni caso, e che non si applica ad alcuni reati, come quelli che sono puniti dal Codice penale con l’ergastolo.

Per dare alle Corti il tempo di adeguarsi alla riforma, fino a 31 dicembre 2024 è in vigore un regime transitorio in cui i termini di cui sopra sono aumentati di tre anni per l’appello e un anno e sei mesi per la Cassazione.

Proroghe e sospensioni dei termini di improcedibilità

Ricordiamo anche che i termini di improcedibilità stabiliti dalla Riforma Cartabia possono essere aumentati attraverso l’applicazione di proroghe e sospensioni.

Per quanto attiene le proroghe, la prima – di un massimo di un anno per l’appello e di sei mesi per la Cassazione – può essere disposta nel caso di processi particolarmente complessi per numero di parti o per le questioni trattate.

Dalla seconda e per le successive proroghe, invece, tale opportunità è concessa solamente se si procede per reati particolarmente gravi, come quelli di mafia, terrorismo, eversione, traffici di stupefacenti su larga scala e alcuni reati sessuali.

Le sospensioni dei termini sono invece legate all’evidenza di altre cause come, ad esempio, la rinnovazione dell’istruttoria in appello o le ricerche dell’imputato. In via generale, la sospensione è disposta dal giudice che procede, che diventa arbitro dei tempi di estinzione del processo. La decisione è tuttavia potenzialmente assoggettabile a un ricorso per Cassazione, che deciderà tempestivamente senza ricorrere alla presenza delle difensori delle parti. Nelle more della decisione della Suprema Corte, intanto, il processo andrà avanti.